sabato 26 aprile 2014

Sono tornata a casa, Sybil è al suo posto,

e spera di essere lontana dalle sue abitudini.

Qui a Torino c'è un sole meraviglioso che mi mette una grande allegria; sento il profumo di sugo in cucina, ed ho rivisto il mio ragazzo... insomma, dovrei essere al settimo cielo!
Infatti non intendo lamentarmi (strano!).


Ma ho paura. Ho una paura che mi scorre in tutte le vene, al posto del sangue, e la sento; a volte pulsa nelle tempie e nei polsi, così ignorarla mi è quasi impossibile.
Ho paura di me stessa.
Paura di sbagliare: di non ascoltarmi più. Di non riuscire a vivere come sto faticosamente cercando di fare; di non riuscire a spezzare il cerchio di insoddisfazione=cibo in cui sto ruotando da quasi metà della mia mini-vita.
Ho bisogno di tanta fiducia in me stessa, di sostegno: voglio farcela! So che esiste una vita ed io sto iniziando a capire qual è: cerco di impegnarmi a non attendere l'ora di cena o di pranzo per sentire una giornata degna di essere chiamata GIORNATA, di darle un senso a prescindere da quello che mangerò.
E' tosta. Difficilissimo, più di quanto pensassi. Ormai il cibo ha monopolizzato ogni minuto delle mie giornate: se mangio, se non mangio, se mangio bene, se mangio male, fa poca differenza: passo semplicemente da gioia a tristezza, ma entrambi dipendono comunque dal cibo.
Voglio lottare perché non sia così. Voglio lottare perché la mia vita sia piena e ricca anche senza mangiare un piatto di pasta o solo verdura, pesce, carne, senza contare, senza piangere, senza ingozzarmi di cibo o privarmene del tutto; voglio una vita in cui IO sia al centro, e non il cibo.
Difficile? Possibile. Io lo so, lo sento che è possibile.
Sono ripetitiva e voglio esserlo fino all'esaurimento: c'è altro, c'è altro, C'è ALTRO. Devo solo lottare perché sia quell'altro il mio tutto. Devo lottare per ricordarmi com'era, per tentare di passeggiare come passeggiavo da bambina, senza pensare a quante calorie sto bruciando, o a quanto mangerò questa sera.

Ho paura di questa casa perché è qui che mi sono sempre abbuffata, e non ho nessuna tranquillità di quel luogo estraneo al mio, in cui creare abitudini diverse (senza abbuffate) era normale in quanto lì non avevo abitudini.

Qui, invece, ho creato una casa in cui ho ripetuto la stessa recita un sacco di volte: ho i miei super mercati, i miei barattoli di miele, la scuola che mi stanca, ho le delusioni degli amici, ho mille scuse. MILLE SCUSE.

Non posso più continuare quella recita. E so che posso farcela.

Esercitare l'unica libertà che mi è concessa e che è concessa a tutti: quella di pensiero.

Perché il cibo mi sta privando anche di quella.

mercoledì 23 aprile 2014

Voglio essere piccola, perché invisibile lo sono già..

è incredibile. Sono seduta qui tra i miei parenti, parenti che sono venuti a trovarci e che ho visto tre anni fa l'ultima volta.
Qui in mezzo, mi sento invisibile. Sono bassa, lo sono sempre stata, mia sorella è alta molto piu di me ed è piu piccola. E ancora, dopo quasi vent'anni, tutti continuano a chiedere chi sia la piu grande. Commenti su mia sorella "come è cresciuta!", "ma è lei la più grande?", "Come mai tu non ti alzi mai, Cecilia?" sono stufa. Tutti gli anni è cosi. Peccato che tutti si accorgano che sono ingrassata.
Quello non sfugge mai a nessuno. Mi fa tanto soffrire: tutti mi vedono come una bambina piccola da quando avevo tre anni. Ora che ne ho diciotto, mia nonna continua a dire a tutti che mia sorella ne ha sedici, ma ci passiamo solo venti mesi, in fondo abbiamo la stessa età. Sarà per questo, mi chiedo io, che lei può tornare tardi la sera, può non avvisare quando esce, ed io ancora vengo trattata come una bambina? Ho sempre pensato che a questa età, due anni di distanza siano tantissimi, un abisso, conoscendo mia sorella e i suoi ragionamenti infantili. Eppure, sono io la più piccola. Seicento messaggi quando esco il sabato sera con il mio ragazzo, orari non oltre le undici.. Mentre lei esce di nascosto. E tutti se ne accorgono, ma nessuno dice niente.

Questa mattina una mia amica, nata il mio stesso giorno (29 aprile), mi ha scritto ricordandomi di non mancare al suo compleanno che festeggia il 30 aprile, la sera.

Io non faccio nessuna festa, ma quella sera era l'unica libera che il mio ragazzo ed io ci eravamo conservati per stare insieme: lui si sarebbe fatto tenere casa libera e mi avrebbe cucinato, anche perché il giorno dopo è festa e forse mia mamma fino a mezzanotte mi avrebbe fatta rimanere. Al mio diciottesimo compleanno, sarei potuta stare fuori fino a mezzanotte. Uao.
Però lascerò perdere. Perché non posso mancare al compleanno della mia amica, e sacrificare il suo per il mio mi sembra proprio una esagerazione. Cenare con il mio ragazzo per festeggiarmi: già quello lo era.

Va bene così, anche se sono molto triste.

Il mio ragazzo aveva proposto di spostare il tutto al 29 sera, ma il giorno dopo c'è scuola e mia mamma, compleanno o no, alle undici mi vuole nel letto a dormire. Che tristezza. Ed io volevo fare la festa? Per festeggiare cosa? Alle undici nel letto a dormire?

Mi sento soffocare. Voglio vivere, ma mi sento impedita, limitata. Ignorata. Insoddisfatta.

E, come sempre, incolpo il mio corpo. Voglio guarire, ma forse essere invisibile davvero mi aiuterebbe. Non mi importerebbe di essere ignorata.

Sul fronte cibo, oggi dopo pranzo ho mangiato tre pasticcini, e non me ne sono abbuffata. Li ho gustati. La parte malata, lo so, mi impedirà di cenare sta sera, e so anche che vincerà: ma per me è un passo avanti. Essermi gustata tre pasticcini senza pensare "ormai, oggi mi abbuffo" è una piccola grande vittoria. Berrò una tisana, questa sera, però mi sentirò normale, per un giorno. Tre pasticcini sentendone il sapore.

buona serata a tutte.:)

martedì 22 aprile 2014

post lungo e noioso, per chi è in vena!

Ci credo, questa volta ci credo.
Ieri sera non ho cenato perché verso le sette uno zio ci ha portati tutti a prendere un gelato, cosi l'ho mangiato per essere normale, l'ho preso alla frutta, nella coppetta, e poi non ho cenato.
Non voglio togliermi niente, ma diminuire le porzioni. Voglio dimagrire senza pensarci, senza abbuffarmi. Questa mattina ho tagliato una minuscola strisciolina di pastiera che ha preparato mia nonna come da tradizione, ho fatto un te non zuccherato, e ho gustato, lentamente, vicino al camino spento, la mia colazione.
Ieri a pranzo è successa una cosa bellissima, che non succedeva da tempo: il mio stomaco ha parlato (rileggendo è piuttosto ambigua come affermazione XD). Stavo mangiando un piattino di fave e ad un certo punto ero piena. Alla fine del piatto, ero piena! Ho mangiato molto lentamente e il mio pranzo è finito li, con le fave e i carciofi, quei pochi che mi sono stati messi nel piatto.
Non ho tagliato dieci quintali di formaggio, non mi sono ingozzata di dolce, non ho mangiato la frutta. Perché ero piena.
È molto presto, visto che sono soltanto due giorni che mangio cosi poco, ma sono motivata: voglio ascoltarmi.
Mangiare piano quello che mangiano gli altri, e non cadere.
È tutto nelle mie mani. Abbuffarmi o non farlo dipende solo da me.
Voglio rinascere, voglio imparare ad ascoltarmi, perché prima del mio dca pesavo nove chili in meno. Perché sapevo mangiare, ma non sapevo guardarmi.
Voglio dimagrire piano, e poi verrà da se. Voglio sparire a poco a poco: niente di drastico. Certo che restringere cosi mi fa sentire meravigliosamente forte, so che posso farcela, voglio crederci, voglio credere in me stessa, ma non voglio distruggere il mio metabolismo e la mia vita. Dimagrire deve migliorarla, non consumare tutto ciò che ne resta!
Non servirà più nessun apprezzamento sul mio corpo quando sarò invisibile: nessuno di quelli che tanto temo. Voglio insegnare al mio corpo che non è necessario mangiare alla velocità della luce, divorare le cose, non sentirne il sapore. Voglio insegnargli il rispetto.
Nella foga, nella rabbia ho detto delle cose che ora so essere senza senso, ma voglio sparire ancora, non ho cambiato idea. In questi momenti di lucidità rivaluto il MODO in cui voglio sparire.
So che voglio sparire con calma, senza promettere al mio corpo un digiuno prolungato, in quanto la mia testa mi sente e lo dice allo stomaco, che si apre e crea una voragine che mi rende affamata e insaziabile.
Ho notato che quando sto lontana da casa non mi abbuffo quasi mai.
D'estate, per esempio, qui al mare, sono profondamente triste senza amici, senza il mio ragazzo, e non mi abbuffo. Non c'è nessun piano che non va rispettato, come a casa mia; non ho routine da spezzare per sentirmi una fallita; non ho orari che se non vengono rispettati mi rendono irritata, e mi spingono a mangiare spaventosamente.
Ho la tranquillità di un ambiente diverso, che non è casa mia, non è la mia Torino bellissima e frenetica; poi siamo tanti con i miei cugini, mio zio, i mille parenti (mia nonna ha dieci fratelli!), per cui non vengo controllata ossessivamente come a casa, non mi sento oppressa: d'estate mangio poco, sano, e non me ne curo molto. Certo, le ossessioni rimangono, ma non mi abbuffo mai.
Ogni volta che torno in questo posto, da sola, senza amici, senza compagne magrissime da odiare, posso pensare solo a me stessa, per quanto io ami il mio ragazzo e la mia città.
Qui mi annoio molto di più (in un paesino campano non è che si possa fare un granché), eppure non mi abbuffo.
È talmente paradossale! Molto spesso a casa, nei rari momenti in cui mi annoio, mi abbuffo; sono stressata, mi abbuffo; litigo con il mio ragazzo, mi abbuffo; non ho particolari motivi, mi abbuffo.
Qui, invece, non mi abbuffo mai. A casa mia il frigo è sempre vuoto, mia madre non ha mai comprato schifezze, non c'è nulla con cui abbuffarsi eppure mi abbuffo: o esco a comprare le cose, o mi imbottisco di pane e olio, pane e miele, che sono le uniche cose che abbiamo in casa; mia nonna, al contrario, è sempre piena di roba da mangiare: biscotti, crackers, dolci, pastiere, strudel fatti da lei che lascia in giro, eppure non sono mai tentata di strafogarmi! Incredibile... Qui non ho niente da fare: mi siedo vicino al camino e leggo,oppure ascolto semplicemente musica ore ed ore, oppure, come ieri, si cammina sulla spiaggia primaverile, nella sabbia umida e con il vento profumato.
Oppure si sta tutti sul divano a guardare un film, si spettegola dei compaesani, insomma niente di che, ma non mi abbuffo. Sono tranquilla qui.
Quello che temo è il ritorno a casa. Non so perché, ma a casa mi prende quella voglia di abbuffarmi che fa paura, perché a casa mia non so annoiarmi, come invece riesco qui. Se lì mi annoio, è finita.
Non so chi leggerà questo post, ma avevo bisogno di scriverlo. Il pranzo di oggi non mi preoccupa, ci penso poco perché so che saprò contenermi tra le chiacchiere di mia zia e la paura di quelle di mia nonna: penso a quello che mi ha detto l'altro ieri, e non mi permetto nemmeno di fare il bis di insalata!:)
Mi piace la campagna, mi piace il mare. Mi piace la mia città. Ma qui ho una voglia infinita di stare in pace, in vacanza dal cibo. Mi lascio scivolare addosso quel commento e vado avanti, a testa alta, perché ho un obiettivo che niente e nessuno possono impedirmi di raggiungere, e sono io. Io sono il mio obiettivo.
La mia serenità, la mia pace, senza imbottire il mio corpo di cibo per fargli provare emozioni: questi sono i miei obiettivi. E vengono prima della magrezza spaventosa a cui aspiro (che poi, viene dopo, se non perdo quell'aspirazione prima). Qui imparo a vivere la noia, non le sfuggo, non la sostituisco con l'estrema sensazione post-abbuffata di pienezza e odio, rabbia, delirio, tristezza.
La vivo. Dovrei imparare a vivere.
Dovrei imparare a vivere gli imprevisti, perché abbuffarmi non è un modo per affrontarli; dovrei imparare a vivere la rabbia, perché abbuffandomi non la vinco, la rendo solo addossabile a me, e non all'esterno: me ne incolpo. Mi dico "Sono arrabbiata? Che almeno lo sia per colpa mia!" e mi abbuffo, e mi arrabbio.
Dovrei imparare anche a vivere l'invidia, la noia, quelle emozioni che percepiscono gli altri.
Ho appena finito di leggere un libro di Kundera, si intitola "L'ignoranza". Ve lo consiglio anche se Kundera non è proprio uno scrittore da spiaggia: i suoi libri sono tragici e non hanno un inizio, né una fine, ma sono viaggi. Almeno, io li vivo cosi. Quando leggo libri mi dimentico di me stessa e non voglio costruire frasi fatte, perché molto spesso la gente parla della lettura talmente astrattamente che rende tutto fittizio, senza valore; concretamente, leggere è l'unico modo che ho per conoscere i sentimenti e la vita delle persone che non hanno un dca.
Perché quante volte vi è capitato di chiedervi "Ma gli altri cosa fanno, se non pensano al cibo 24 ore su 24??"? Io me lo chiedo sempre! E leggendo me ne accorgo: c'è una vita là fuori, in cui le emozioni si vivono, in cui si mangia per nutrirsi ma la vita è un'altra, non è il cibo!
È un motivo strano per leggere, forse futile, ma per me è il principale; ovviamente poi leggo per lo stesso motivo per cui lo fanno tutti: cultura, per imparare a scrivere, per imparare la pazienza di ascoltare un altro che ha delle cose da dire e vuole comunicarle con un libro, e poi leggo saggi filosofici o libri riflessivi di Wilde (come il De Profundis che nel mio blog è molto citato!) per me stessa., per viaggiare con la mente.
Ma quando leggo vite, storie, è principalmente per riuscire a costruire una vita senza il mio dca, come fanno tutti, tutto quel restante 99% della popolazione mondiale. Per sapere come è splendido vivere le proprie emozioni senza soffocarle nel cibo, o nel digiuno, o nel vomito, o nell'esercizio fisico estremo: in un disturbo alimentare.
Voglio dimagrire, ma voglio vivere la mia magrezza senza esserne ossessionata (ringrazio anche Viellina per il commento sul post precedente, che mi ha aperto un po' gli occhi, ma che purtroppo posso rivalutare solo in seguito alle mie crisi e alla sensazione di sconforto in cui o mi sfonderei di cibo, o mi lascerei morire di fame).
Non so se posso abbandonare il mio ideale anoressico, ma posso provare a vivere. A non dare necessariamente un nome a quello che vivo. A vivere e basta. A soffrire, a piangere, a non ripiegare tutto ciò che non voglio sentire sul cibo, sul corpo. Il corpo mi serve a vivere: non devo vivere per il mio corpo.
Sento che per vivere devo dimagrire, perchéuna settima di seno e una taglia 44 non mi rendono serena; ma non voglio vivere per dimagrire.
Ed è molto diverso.
Vi abbraccio, e abbraccio chi avrà avuto la pazienza di leggere tutta questa noiosa successione di parole. Parole, parole....
Sybil.

domenica 20 aprile 2014

Buona Pasqua.

Io ci ho provato. Ho impiegato tutte le mie forze per essere normale. Ma la mia vita è questa, e non posso fare finta più.
Ero a tavola, oggi è Pasqua, ed io voglio rinascere, voglio credere di potercela fare; ma la gente è stupida, la gente è cieca, è sorda. La gente è insensibile. Fredda.
Ero a tavola e ridevo, per una cazzo di volta ridevo e mangiavo le lasagne quasi senza pensare a quanto odiassi quelle stesse lasagne, e poi il mio dca è tornato a farmi visita. Un commento nello stesso maledetto posto in cui tutto è iniziato, e mia nonna che è piu vecchia e più ingenua, più sorda, ha detto, rivolgendosi a me "Tua mamma quando era piccola era bella cicciotta, come te." ed ho sentito come una freccia nel cuore, fredda e dolorosa, ho sentito sanguinare ogni parte di me. Perché adesso? Perché a Pasqua, quale bisogno c'è? Quale persona è felice di sentirsi dire che è bella cicciotta, malata o non malata che sia? Eppure, il bisogno di fare male è più forte del buon senso in qualsiasi essere umano, e vince sempre su tutto. Sono rimasta pietrificata a cercare di ripetere qui gesti che tutti fanno involontariamente, come respirare, riflettere, stare rilassata e felice. Ma stavo immobile, senza fiatare, mentre le conversazioni intorno a me proseguivano senza di me, e quel commento era scivolato addosso a tutti, mentre era rimasto infilzato come una spada dentro alla mia pancia piena di grasso. Avrei voluto alzarmi e urlare, urlare forte, avrei voluto lanciare in aria il mio piatto piangendo e strillando "Lo so! LO SO DANNAZIONE CHE SONO GRASSA, ME LO RIPETO OGNI GIORNO, E SE ME NE DIMENTICO ME LO RICORDA IL MIO SPECCHIO SU CUI SPUTO, CHE VORREI SFONDARE PERCHÉ SO CHE RESTERÒ COSI ANCHE SE LOTTERÒ CON TUTTE LE MIE FORZE, E POTRÒ PIANGERE FINO ALLA FINE DEI MIEI GIORNI MA NON SERVIRÀ A NIENTE ED IO VIVO OGNI SECONDO DELLA MIA LACERANTE VITA CON QUESTA CERTEZZA STRUGGENTE E DESOLANTE!".
Invece restavo ferma a respirare, piano, e non sentivo piu niente. Non ricordavo nemmeno l'inizio del discorso, e riuscivo solo a chiedermi se quel commento fosse indispensabile, in quel momento, in quel contesto, in questo giorno in cui volevo sperare di essere normale.
Ho sbagliato. Con chi dovrei parlare? Cosa dovrei fare adesso? L'unica cosa che mi viene in mente è scrivere, continuare a camminare a testa alta anche se mi fa male tutto, anche se il mio pensiero è che sono sbagliata, vorrei solo essere magra.
Forse non mi vedranno nemmeno più, e non potranno più parlare di me. Sarò talmente piccola che passerò attraverso tutto, e non riuscirò nemmeno a piangere.
Ho freddo da morire, sono sdraiata su un letto che mi sembra un deserto, forse è perché sono sola. Di là c'è tutta la mia famiglia ed io sono completamente sola, e ho freddo.
Se il mondo capisse... Se ognuno potesse provare anche un solo secondo ad entrare nel mio corpo e a sentire tutto ciò che io sono costretta a sentire, forse non parlerebbe più. Non riesco a capire che cosa ci sia di così meraviglioso da trarre nel fare del male; quella frase era detta per ferire. Chi non arriverebbe a capirlo? Sicuramente non era un complimento. Oppure, era semplicemente la verità. È stato come dire ad una persona 'sei bionda.' o 'sei mora'.
Ma mia nonna c'era quando quel giorno di cinque anni fa io ho annunciato che volevo dimagrire, e mentre piangevo mi ha presa per mano a passeggiare e mia ha detto che era la crescita, che se volevo mi preparava le insalate. (ovviamente per cinque anni non ne ho mai più parlato, ma quel giorno era una novità, ero piccola). Ed ora mi usa come oggetto di paragone tra quello stecco di mia madre, e le mie guance cicciotte.
È stata una di quelle volte in cui mi sono chiesta perché la terra non si aprisse sotto i miei piedi per farmi sprofondare. È stato il momento in cui ho pensato "Stasera non mangio", e infatti non mangerò. Dirò che la lasagna mi ha riempita troppo, assieme al capretto, e non mangerò. Non farò colazione domani, pranzerò come pranza un canarino e non cenerò, o per lo meno non come al mio solito.
Basta, voglio tornare a Torino dal mio ragazzo magra, voglio essere magra per i miei diciotto anni.
Non servirà mangiare cosi poco?
Bene, poco male. Cosa me ne importa? Non ho motivo per continuare a mangiare. Non cosi tanto. Vaffanculo, ora basta. Cosa mi aspettavo? Che dopo le mie abbuffate qualcuno mi dicesse "Come sei magra"?, oppure che bastasse un fottuto proposito di "tentare di essere normale" per smettere di essere oggetto di battutine e critiche, osservazioni? Che ridicola che sono. Stasera non si cena. Sybil non lo merita. Non lo merita oggi, domani, in nessun giorno della sua vita. Ancora meno, merita rispetto. Amore. Cura.
Buona Pasqua.

sabato 19 aprile 2014

Sto viaggiando.

Ogni volta che c'è vacanza, breve o lunga che sia, io e la mia famiglia andiamo in Campania, giù da mia nonna. Ha dieci fratelli ma vive da sola. Non l'ho mai detto a nessuno, perché un po' odio che mi ci portino ogni volta che potrei trascorrere del tempo con il mio ragazzo, ma a me piace molto quel posto.
Perché è proprio li, a casa di mia nonna, seduta a quel tavolo, che si è scatenato all'improvviso il mio dca, dopo il commento di mio cugino.
Ogni volta che ci ritorno lo maledico, ma lo amo allo stesso tempo.
Ogni volta che ci torno, inizio a immaginarmi se quel commento che mio cugino nemmeno si ricorda me lo fossi lasciata scivolare addosso. Ora sarei normale.
Che poi normale, cos'è? Per me, normali sono tutte le persone che non hanno un dca. Per ME, e sottolineo per ME, normali sono tutte le persone che quando guardano il sole GUARDANO IL SOLE, non si chiedono come sarebbe guardare il sole con venti chili in meno; tutte le persone che quando passeggiano PASSEGGIANO, non si chiedono quante calorie staranno mai bruciando, e se saranno abbastanza; tutte quelle persone che quando mangiano un panino MANGIANO UN PANINO, non pensano a cosa potranno mangiare stasera avendo mangiato quel panino, di cosa dovranno privarsi, se non lo avessero mangiato, non dovevano mangiarlo "non dovevo! Stupida maiala!" loro non se lo ripetono, e non iniziano ad innervosirsi e a non parlare piu per uno STUPIDO PANINO DI MERDA, non succede.
Mi piacerebbe essere normale. Mi piacerebbe tanto avere un'idea di vita superiore ai cinquanta chili, invece io non posso vivere se non ne peso meno, meno, sempre di meno... A volte succede che penso a quando pesavo quarantadue chili, a quando ne pesavo quarantacinque, e ad ora che ne peso cinquantasette. Ero ugualmente ossessionata, mi odiavo altrettanto, mi guardavo allo specchio in mille posizioni sperando di essere diversa, di dimagrire ancora, mi pesavo cinque volte al giorno, prima e dopo i pasti, mi odiavo, piangevo come piango ora; inferno.
Non è il peso il problema. Il problema è il mio dca. Che mi fa pensare che se ne andrà nel momento in cui scenderò di peso.
E nessuno può convincermi del contrario, nemmeno io che lo so cosi bene dove sta il vero problema e contemporaneamente non so quale sia, ho tutto, ho tutto quello che una persona possa desiderare nella vita, eppure sto buttando tutto nel cesso. Perché la mia vita è un film in cui il dca è la colonna sonora, l'ambientazione, il protagonista.
Sto dando a lui tutto lo spazio per giocare con me, e rubarmi la scena.
Questi dieci giorni, voglio provare ad essere normale. Come quelle persone che dimagriscono e nemmeno se ne accorgono, e non pensano "se mangio x come mangio y, ma se mangio x+y allora metto su k, e con k devo perdere z" insomma basta!
Questi dieci giorni sarò come quelle persone che ascoltano il proprio corpo: vorrei tanto mi inviasse segnali ancora, di nuovo, come prima; vorrei avere la soglia di sazietà, un qualsiasi genere di comunicazione con il mio corpo.
Questi dieci giorni, comunque, purtroppo, spero che essendo normale dimagrirò. Bene. Non c'è via di uscita. Comunque spero di farlo in modo non malato.
Vi siete mai chieste cosa facevate prima del disturbo alimentare? Io non lo so. Non me lo ricordo più.
Buon viaggio Sybil, buon viaggio dentro te stessa.

Scusate il poema. :) un abbraccio a tutte e grazie per i commenti che mi aiutano tantissimo.

giovedì 17 aprile 2014

Me lo sono chiesta tante volte,

il perché. Non è che poi, alla fine, mi aspettassi una risposta.
Né da me stessa, né tanto meno dal mondo. In realtà mi aspettavo di rispettarmi.
Fin da piccola, ho sempre saputo che si cerca il bene per sé, non il male; e allora perché, adesso, mi sto distruggendo?
Mangio.
Perché mangio?
Perché nient'altro mi fa provare emozioni altrettanto forti.
Perché per tanti anni io non ho mai potuto, e gli altri sì: io non prendevo il gelato, gli altri sì; io contavo la pasta dentro al mio piatto, gli altri facevano il bis senza preoccuparsi; mia mamma, quando ero piccola, non mi ha mai fatto aprire un pacchetto di patatine, mangiare più di una caramella, sgarrare, fare qualcosa senza pensieri.
Mi segue, mi segue con la macchina. Chiama i miei amici per sapere se sono davvero ai compleanni. E quando la tratto male mi fa sentire male, ma davvero male. Perché lei è magra, lei è fragile, lei piange, ed io non le posso urlare in faccia che vorrei che fosse diversa.
Che non voglio diventare come lei.
Che odio come mi ha cresciuta, che odio le sue frasi fatte, che odio le parole insensate che si mette in bocca, i suoi inseguimenti, le sue battute ridicole.
ODIO ODIARLA.
Le farei troppo male. Così, faccio male a me stessa. Che sono tanto forte da sopportare il peso delle mie insoddisfazioni.
Mi sento una merda. So che lei ha sempre controllato tutto quello che mangiavo: anche quando non mangiavo. Mai più di una caramella, mai più di un cioccolatino; quando ho deciso di dimagrire, invece, era lei ad obbligarmi.
Non che avesse capito che soffrivo di qualcosa: lei banalizza tutto. Avrò detto sì e no tre volte in tutti i cinque anni di voler dimagrire, a tredici anni; poi, non ho parlato più. Sono dimagrita e basta.
Ed ora mangio, per ripicca.
Non voleva darmi le caramelle? Bene, io me ne ingurgito pacchi e pacchi, senza respirare. Vuole dirmi dove andare, cosa fare, con chi stare, vuole seguirmi, vuole assillarmi, vuole soffocarmi?
Bene: io le faccio trovare panelle finite, barattoli vuoti di miele, su questo non può controllarmi, non può fermarmi! Le spezzo tutti i riti sacri che si ostina ad imporre a tutti: vuole il bacio della buonanotte perché se nella notte qualcuno muore, è morto dando il bacino della buonanotte? Bene, allora io elimino il rito della tavola, creandone uno tutto mio: il rito dello strafogamento. Quello che lei impedisce apparecchiando la tavola, vietando fin da piccola i fuori-pasto, guardando nei piatti di tutti e togliendo il pane quando vede che se ne prende più di una fetta.
Io mi strafogo.
Senza ritegno: senza le sue regole di merda, senza i giudizi degli altri per i quali ogni cosa che faccio deve essere perfetta... bene, io rovino tutto.
Senza pietà. Quella pietà che mi impone la mia testa quando mi impedisce di dirle tutto quello che sono, che vivo, che subisco, che mi creo: vorrei andare da uno psicologo, mamma.

Cara mamma, ti ho già scritto una lettera. è in un cassetto, in camera mia, e forse resterà lì per sempre, se non deciderò di bruciarla. Mamma, sono malata. Hai una figlia malata. Non c'è nessuna famiglia perfetta, e non c'è nessun bisogno che mi segui perché l'unico modo in cui ti inganno è facendo questo: ingozzandomi, e facendo la fame, o la dieta. Ma tu non vuoi vederlo.
Perché non vuoi vederlo? Quando eravamo davanti alla dottoressa e lei ha detto che probabilmente il ciclo non tornava perché non avevo massa grassa, ero troppo attenta a quello che mangiavo, ero ossessionata, che mi avrebbe fatta pesare al contrario, se avessi voluto, perché mamma tu non hai capito?
Perché mamma non hai mai voluto capire? Perché per te non è importante? Perché credi che vada tutto bene, perché non mi fai andare da uno psicologo, perché prendi in giro le mie amiche che ci vanno dicendo che hanno soldi da buttare? Perché, mamma, non leggi il mio disagio? Perché non capisci quando mi guardo allo specchio, quando non voglio più mettere reggiseni, quando non voglio che mi compri magliette, perché tu non capisci?

Voglio essere sola, sola con me stessa. Vorrei stare bene. Vorrei sperare che domani smetto, e smettere davvero. Invece penso alla mia vita: tutto mi annoia. Dalla mattina alla sera sono costretta a fare tutto quello che non mi va di fare, devo lasciare che gli altri decidano per me, devo lasciarmi giudicare, devo sentirmi dire "come sei ingrassata!".

Ci ho provato. Ho provato a tirare fuori le palle e togliere dai cassetti tutti i pantaloni di quando pesavo quaranta chili, a dimenticare il mio culo minuscolo, il mio peso minimo, i commenti su quanto fossi magra, il mio non vedermi mai magra abbastanza. Ma ho perso il controllo. Ho perso me stessa, ed ora è tardi. Ho messo su così tanti chili, ho perso il conto, non ho una bilancia, e vorrei che fosse domani, perché oggi mi sono abbuffata di nuovo.

Vorrei che fosse domani, e vorrei non essermi abbuffata. Non vorrei mai averlo fatto, ed invece lo faccio sempre.

Credo che mi ucciderò, prima o poi. Credo che se non perdo questi quindici chili io mi ucciderò. Se solo non fossi una vigliacca, se solo non sopportassi il dolore fisico, mi ucciderei anche adesso: ma sono una codarda. Del resto chi, se non una codarda, per reagire alla sua vita di apatia si abbufferebbe fino a stare male, anziché affrontare, affrontarsi? Vorrei che fosse già domani. Vorrei già essere magra. Vorrei non essermi abbuffata: ma oramai è fatta, e non so cosa dire.

Guardo il tempo fuori, il cielo è chiaro, il sole sta scomparendo, e tra poco sarà notte. Potrò ricominciare, e sentirmi come quando non ho da odiare il fatto di essermi abbuffata.
Lo faccio perché niente mi arriva, niente mi entusiasma, non sento niente: non sento l'amore del mio ragazzo, nemmeno quello fisico (come biasimarlo, un corpo come il mio io nemmeno lo guarderei, figuriamoci toccarlo); mi fa male, certo, ma lo capisco. Allora mangio fino a stare così male da volermi uccidere sedutastante.

Invece vivrò: vivrò perché domani mattina mi sveglierò e saprò che dovrò lottare per dimenticare ieri e non continuare ad abbuffarmi.

Sono così triste. Così arrabbiata! Così delusa da una me stessa che non cambia mai! Ed io ci provo, io provo ad uscire, provo a lottare, provo a smettere, ma è questa la collaborazione che ricevo da me stessa!

Esiste un Dio anche per me? E se c'è, dov'è? Sto male, per me stessa e per gli altri. Sentire i miei litigare, il mio ragazzo indifferente a me, e stare ad ingozzarmi cercando di razionalizzare il male che mi sto facendo: perché mandare tutto all'aria, così?
Allora per me non esiste un giorno di pace, un giorno in cui potrò smetterla di pensare solo e sempre a me stessa, e cominciare a pensare un po' a ME. Perché lo merito: merito un bacio tutti i giorni della mia vita.


Voglio amarmi! Ho un disperato bisogno del mio amore, per poter smettere di aspettarmelo dagli altri!.Voglio guardarmi allo specchio e dirmi: eccoti, Sybil, vai bene così! Sei bella, bella, e non hai nessun bisogno di abbuffarti, di scrivere tutto quello che mangi, di contare calorie, di ammazzarti in bicicletta, e poi abbuffarti di nuovo.
Voglio abbracciarmi! Voglio stringermi forte e darmi quella forza, quell'aiuto, quel sostegno che nessuno potrebbe mai darmi.

Voglio parlarmi! Voglio ascoltarmi ogni ora del giorno, voglio assorbire i miei sfoghi prepotenti e impetuosi, irrequieti, violenti.
Voglio spaventarmi! Voglio sorprendermi, lasciarmi andare, meravigliarmi.
Voglio scoprirmi! Voglio vedere fino a che punto posso essere speciale, solare, viva!!
Cazzo, voglio guardarmi! Non criticarmi, odiarmi, disprezzarmi, sputarmi sullo specchio (sì, l'ho fatto), minacciarmi, sbattere la testa sul pavimento, nella ghiaia al parco, sul muro nei bagni: voglio guardarmi.
Fermarmi un attimo, respirare, e guardarmi. I miei occhi, le mie lentiggini. Il mio nasino piccolo, le mie labbra. I capelli del colore del miele quando è scuro, le mie orecchie piccole, la fronte troppo alta. Il collo sottile, i polsi fini.
Voglio leggermi il cuore: voglio cantare come amo fare, come so fare, senza pensare che non sono brava, senza pensare che non sono profonda e non riuscirò mai a non fallire.
Voglio chiedermi chi voglio essere, e non voglio urlarmi in faccia che sono un'idiota perché ho scelto filosofia, per la mia vita da fallita, filosofia.
Voglio fermarmi e dimenticare il cibo: voglio amarmi.

Merito il mio amore.
Perché non mi amo? Perché mi torturo così?

Non lo so, ma so che devo continuare a combattere. Per me. Perché io lo merito. Merito quello che tutti hanno, merito le mie attenzioni, le mie coccole.

MERITO ME STESSA.

Buonanotte, ragazze. Amatevi.

martedì 15 aprile 2014

Ho provato a dirtelo, amore mio.

Amore mio, come vorrei dirti tutto.
Ma tu sei cosi distante, è cosi impossibile raggiungerti, raggiungermi.
Siamo fuori, fa freddo, e tu stai piangendo mentre mi preghi di parlarti di me, perché vedi che c'è un velo di malinconia da anni in tutto quello che faccio, dici, ed io ti rispondo che sei un cazzone. Questo.
Ti rispondo che non mi desideri, che ti fa schifo il mio corpo per non urlarti piangendo che fa schifo a me, che vorrei che tu lo amassi anche per me, invece continuo ad attaccarti, e ti amo, ricordatelo sempre.
Ricordati che sei quello che, insieme al desiderio di dimagrire, mi tiene in vita. Solo che non potrò vivere finche non sarò più magra. E poi più magra. E poi ancora, ancora.
Piangevi, con l'aria che pungeva, e continuavi a pregarmi di parlarti, di dirti cosa c'era che non andasse, ed io in silenzio avevo lo stomaco sottosopra, mi veniva da vomitare, volevo solo andare a casa, invece eravamo fermi in mezzo all'aria, e allora sei un cazzone, sei un superficiale del cazzo, ma ti amo, dico.
Ricordati che ti amo.
Era il mio momento. E l'ho buttato nel cesso come tutta la mia vita, come amo fare con le cose belle che mi circondano, devo distruggere tutto.
Invece sono stata zitta mentre tu piangevi e camminavi avanti ed indietro, con il collo alzato, con le mani sulla testa, su quei capelli neri e ricci che mi piacciono tanto, con i tuoi occhioni verdi pieni di lacrime; e ancora mi chiedo come uno come te possa stare con una come me. Da un anno e mezzo, tutti i giorni della sua vita. Sono tornata a casa e ho pianto, tutta la notte, e poi ho dormito, sperando di continuare per sempre.
Invece ho aperto gli occhi e ho pensato, ho DECISO di portarti il mio Dario alimentare per dirti ecco, amore mio, ecco cosa mi uccide, ecco pagine e pagine di briciole di cibo ingerito, di calorie contate, di frasi scritte in preda alla rabbia e alla disperazione, disegni del mio corpo in cui la mia faccia è circondata dal grasso e quello è il mio specchio, amore mio; ho preso il diario e l'ho messo in borsa, te lo avrei dato, e avresti scoperto tutto, mi avresti abbracciata, non avresti capito, ma avresti saputo chi ero IO. Avresti potuto aiutarmi a scoprirlo. Ma cosa potevo aspettarmi? Che dimagrissi con me? Che ci abbuffassimo insieme quando io stavo cosi male da desiderarlo? Cosa mi aspettavo?
Ti ho visto, la mattina, e non mi parlavi. Hai detto sto bene ed io mi aspettavo mi chiedessi di nuovo di parlarti di me, ma si sa, le occasioni arrivano una volta e non aspettano, ed io l'avevo persa. Ho nascosto il mio diario e le mie ossessioni, i miei pianti, ed è finita.
Come ho potuto pensare di potermi aprire? Sono destinata a vivere come ora, finta. Senza capire dove sono, senza capire cosa faccio, perché, chi sono.
Giuro che l'ho desiderato: darti quel diario e buttare tutto addosso a te, perché sai bene che non sono brava a parlare, bensì soltanto a scrivere. Odio quelle lunghe descrizioni che fanno i bambini, mi piace essere schietta. E mettere i verbi e i punti e virgola al posto giusto. Non ci riesco, ma ci provo.
Giuro che ho desiderato con tutto il cuore rovesciarti addosso me stessa, quella vera; anni e anni di silenzio tutti sulle tue spalle, che sei forte per tutti e due, amore mio; avrei voluto pretendere tutto l'amore che mi davi più quello che non riuscivo a darmi io, avrei voluto chiedertelo, supplicarti; ma so che non mi è concesso, non lo merito. Non mi è stato mai concesso nulla. Non mi è mai stato concesso di comportarmi come mia sorella, con la sua strafottenza in quanto le minacce che i miei le rivolgevano si trasformavano in regali costosi, orari assurdi di rientro la sera, amore, aiuto; io ho sempre dovuto avere tutti nove per meritarmi un po' di pietà, un po' di libertà, le mie punizioni erano attuate, sempre: le sue si trasformavano in premi. Non mi era concesso di fermarmi un secondo e non apparecchiare la tavola, divagare come sto facendo adesso, rispondere male come lei, perché venivo picchiata. Cosi ho smesso di concedermi il cibo. E poi, dopo tre anni, ho iniziato a concedermelo tutto. Troppo. A stare male.
Amore vorrei dirti questo, vorrei che tu potessi leggerlo ma è cosi difficile, cosi spaventoso. E non ce l'ho fatta.
Ma ricorda che ti amo.
Buttare nella pattumiera le tue richieste, le tue rare richieste di me, le uniche che qualcuno si preoccupa di rivolgermi, è la cosa che meglio mi riesce. Continuerò a mettermi da parte, per continuare a recitare. Compilare il mio meraviglioso diario alimentare ed il mio lagnoso blog, e piangere su me stessa. Lottare con il mio solo sostegno che molto spesso si rivela niente meno che un riuscito tentativo di ostacolarmi; sola con me stessa, e contro me stessa. Ti amo, non dimenticarlo.

venerdì 11 aprile 2014

Non voglio vedere nessuno.

Non voglio vedere nessuno. A volte è un pensiero che mi attraversa, che spesso attraversa la mente di una persona che soffre di disturbi alimentari.

Non voglio vedere nessuno finché nessuno potrà più vedermi. Che, tradotto, suonerebbe più o meno come un non voglio vedere nessuno finché non sarò fottutamente magra.

Magra da fare paura, magra da potermi guardare il culo allo specchio senza la testa che scoppia e gli occhi che vorrebbero piangere tutte le lacrime possibili per perdere una decina di chili sedutastante; invece continuo a mangiare, come se quel culo potesse sparire ad ogni boccone, come se io davvero potessi smettere domani e non odiarmi più.

Magra che qualcuno si accorga che ho un problema, che non ho tutto l'amore del mondo; ma che in realtà mi manca soltanto il mio.

Mi manca, mi manca il mio amore.

Mi manca guardarmi con gli occhi che brillano, e non posso farmene nulla, purtroppo, degli sguardi affettuosi degli altri. Più ricevo amore e più odio quello stesso amore quanto ne desidererei di più, più odio che qualcuno provi amore per me. Perché qualcuno dovrebbe? Cosa mi manca per amarmi? Cosa deve scattare perché un giorno io mi svegli con una voglia immensa di vivere insieme a me, di incontrarmi, di condividere i miei pensieri, di coccolarmi?

Nonna, sto progettando di sparire. Verresti con me? Nonna, ogni volta che i giorni passano si portano via una parte di me, a te hanno già portata via. Stavo pensando a quanto sia facile giudicare; le persone si divertono, nonna: ci passano le ore, talvolta i giorni e i mesi; spesso la vita intera. Secondo te quanto è facile distruggere un pensiero? Se non fossimo così presi da noi stessi, se solo riuscissimo a vedere gli altri e ricordare tutti i sogni che facciamo e se credessimo anche solo per un secondo a quello che diciamo, nonna dove saremmo adesso! Forse qui, ma di sicuro non così e non nella realtà, o la stessa realtà non ci farebbe così schifo, non sarebbe tutto così stretto. Il mondo è fatto per le persone magre, l'ho sempre detto. Per te non c'era posto, per me non c'è, ma appena diventi finalmente come dovresti essere, la morte ti porta via. È tutto così ingiusto, tu non credi? Come è possibile? Se solo potessi aiutarmi.. A cosa serve nonna essere profondi? Andare bene a scuola, studiare, imparare a soffrire? Esiste una regola anche per questo?
 
Quando finiranno le regole cosicché gli uomini non possano più infrangerle facendosi del male e venendo ostacolati? Quando non esisteranno più regole per disobbedire a se stessi? E quanta forza ci vuole per dire di no, per dirsi di sì? Fino a quando nonna si potrà piangere alla luce del sole e perché ricordare la forza che si è persa è più doloroso che non averla mai avuta? Perché non si può tornare indietro, perché non sempre si riesce ad andare avanti e perché aggrapparsi al passato rende cosi coraggiosi e sicuri ma terribilmente tristi? Da cosa nasce il bisogno di cercare continuamente di andare bene, di piacere, come si distrugge il dono di mascherarsi e accontentare, come ci si libera di se stessi?
 
Se tu potessi almeno avvicinarti a sussurrarmi che fa tutto schifo saprei di non essere la sola a saperlo, non troverei una giustificazione alla merda che mi danno da mangiare e al modo spaventoso in cui ne voglio ancora, e non piangerei ogni volta per continuare a piangere domani e tutti i domani che, tu lo sai nonna, ti lasciano da sola. E non cercherei una morte di cui morire, non proverei ad attraversare le ragioni che mi impediscono di fermarmi, e non avrei nemmeno paura della certezza che nessuno sospetterà niente, non da me, che non si accorgeranno che non sono poi così intelligente, e tu dove sarai, nonna?

Cara nonna,

questa mattina fa tutto un po' schifo. Il mare, la mia testa. Mi sono abbuffata di nuovo di miele. Pane, miele, miele, pane. Non vedo più un cazzo. Yogurt, miele, pane, miele. Mi odio. Vorrei poter fuggire da me stessa. E ho voglia di piangere, nonna, di urlare e qui non posso, non posso vomitare in bagno e sono nervosa, mi tremano le dita e gli occhi, ma non posso neanche piangere, mi mordo le unghie e vorrei sprofondare, la testa non scoppia ma non è un problema di nessuno, nessuno se ne fa una malattia mentre la mia lo è, una disperata richiesta di aiuto, vorrei impazzire del tutto, chiederò aiuto, vorrei tanto uscire dal tunnel, nessuno capisce davvero, nonna stringimi i polsi, fermami, non lasciarmi sola, non vedi che mi distruggo? Da quando sono bulimica la mia pelle è bella e il mio cuore marcio, aiutami. Ho provato lo giuro ho provato ad uscire ma dannazione, è così difficile, vorrei morire. Quanto si può odiare uno stupido corpo? Quanto si può arrivare ad essere soli soli MALEDETTAMENTE SOLI, quanto si può lottare per essere normali, come si fa a non urlare urlare urlare urlare urlare che sono una stupida, che non riesco ad uscire non riesco, maledizione, non riesco! Vorrei riuscire ad esprimere un millesimo di quello che provo. Di quello che ho provato quando il dentista mi ha detto che loro sanno quello che ho passato, che lo sanno, lo sanno, mi brucia il sangue nelle vene ma loro lo sanno, mia mamma lo sa, la dottoressa lo sa, sanno tutti cosa significa odiarsi fino alla follia quando si perde il controllo, sanno cosa si prova mentre ci si mette le dita in gola e il mondo piange, sanno tutto, sanno come si entra in un disturbo alimentare e lo schifo contro cui si combatte ogni giorno, lo sanno, bene, lo sanno. E allora sono l'unica che non lo sa. perché la gente capisce cosi bene ma devo sopportare tutto io?

martedì 8 aprile 2014

Anche oggi,

è successa una cosa incredibile. Mi guardo le gambe e sono enormi. ENORMI. Anche oggi ho desiderato essere diversa. Sono andata a pedalare un'ora, ed ho bruciato 140 misere kcal. E pensare che in un'abbuffata le stesse calorie le ingerisco in mezzo secondo.
Motivo in più per non abbuffarmi! Ieri e oggi sono andata bene, stasera se riesco posto i d.a.
Devo far sì che la voglia di cambiare superi quella di stare male. Perché abbuffarmi e disperarmi piangendo con la pancia gonfia è una tentazione molto, molto forte. Voglio farlo per il mio compagno, per il suo tumore, perché io che posso non soffrire mi prendo a bastonate in testa per stare male, mentre lui pagherebbe per cambiare la sua vita con la mia: per avere una ragazza, poterle promettere una vita intera, poter correre con le sue gambe. Voglio dedicare a lui la mia sfida con me stessa. Non mi voglio abbuffare piu! Voglio dare un senso alla mia vita, che non siano pacchi di biscotti, pianti e punizioni!

lunedì 7 aprile 2014

Post furioso!

accendo la Tv e sento che Federica pellegrini è stata bulimica perché un giorno è tornata a casa ed ha mangiato un kilo di gelato! Che mondo di merda! Vaffanculo!... Servizi inutili mentre dietro gente soffre.. Che schifezza
Se andassi io in Tv a dire che sono stata handicappata perché ho avuto un braccio ingessato e quindi so come si sentono i disabili vorrei vedere. Ma che schifo che schifo!

Qualcosa di vero nella mia vita, e lo odio.

La cosa di cui sono certa, e quella che non posso fingere, è di essere nata. Sono nata, e sono nata in un giorno, e la vita è il dono piu bello, troppo grande, che mi sia stato messo in mano. Perché invece, voglio fingere che non esista nessun giorno per me.

Non festeggerò i miei 18 anni. Poverina :( mi passa accanto un ragazzo disabile che pagherebbe oro per camminare e vivere, ed io piango perché non farò la festa dei 18 anni :(

Sono patetica. Odio stare in mia compagnia. Vorrei tutto, vorrei il mondo, mi ingozzo, e poi mi lamento della mia vita infelice. Mentre i ragazzi si ammalano di tumore a 17 anni, e i genitori devono lottare, straziati, con loro. E io sono qui, con un disturbo alimentare, a non essere nemmeno felice di avere un giorno tutto mio. Forse sono solo malata di egoismo.
Ma non mi punisco. Anzi! Mi concedo cioccolata, caramelle, torte, ma non una: quintali.
Ma lasciamo perdere le banalità che sono l'unica cosa su cui mi aggrappo ogni volta (o meglio, è me che si aggrappa, io sono troppo intelligente per queste cose). Mi vergogno ad essere triste.

Mi sono vergognata quanto piu possibile nella vita, quando i miei professori sono entrati in classe annunciando che un nostro compagno di classe ha un tumore. Avrei voluto sotterrarmi. Mi sono vergognata di me stessa come mai avevo fatto, e lì si che ho pensato di non festeggiarmi mai più. Chi merita di essere festeggiata? Lui lotta contro un tumore e non si lamenta, io non faccio altro. Io ho una vita, un ragazzo, io posso correre, io ho i capelli, io non sono in un ospedale a fare le chemio. Io mi abbuffo.

Signori! Povera me :( mi sento patetica. Ed odio il mio fottuto DCA anche per questo. Mi rende triste, insoddisfatta, depressa, mentre là fuori qualcuno soffre davvero.

Vorrei, dovrei chiedere aiuto. Ma mi vergogno. Ho paura che qualcuno mi dica "Pensa al tuo compagno che ha il cancro alle ossa, cosa deve dire lui?". Finirei per rispondere "Ognuno soffre a modo suo, anche la mia è una malattia.:(" " quali danni ti crea la tua malattia? Sei forse anoressica, non ti reggi in piedi, ti hanno ricoverata?" "No, io sto chiusa in casa e mangio. Vado al supermercato e spendo tutti i soldi che i miei mi danno per i libri, per i regali, per i compleanno, in cibo. Tonnellate di cibo. E ne mangio fino a stare male. E il giorno dopo piango per un piatto di pasta che non voglio. Che ha un milionesimo delle calorie che ho ingurgitato il giorno prima. Nella metà del tempo." "ah, interessante. E cosa pensi di fare per guarire da questa tua brutta malattia?" "Niente. Mi rifiuto di chiedere aiuto, mi rifiuto di ragionare, e continuo ad abbuffarmi. ".

Diciotto? Credo ne compierò cinque in eterno di anni.

Vaffanculo a me.

sabato 5 aprile 2014

Questa è una sera no,

e non so come fare a tirarmi un po' su. Tra poco esco con il mio ragazzo, magari mi dimentico per un secondo di essere grassa.
E' una di quelle sere in cui mi guardo allo specchio e mi odio: vorrei distruggerlo, vorrei non dovermi incontrare lì dentro mai più.
Vorrei svegliarmi, ed essere magra. Vorrei svegliarmi ed accorgermi che il mio culo è sparito, che il mio enorme seno che odio non è altro che un brutto ricordo; che io sono così sottile da essere invisibile. Vorrei svegliarmi e camminare tra la gente senza sentire tutti gli occhi su di me, come una pazza, che fissano il mio culo e pensano a quanto sia grande; vorrei svegliarmi e sorridere, svegliarmi e poter indossare qualcosa di diverso dai leggins e la maglietta enorme per coprire il seno. Vorrei svegliarmi e sapere tutto: sapere perché faccio così, perché odio tutto ciò che mi fa donna, che mi fa adulta, che mi fa viva.
Vorrei svegliarmi, domani, e non essere io. Non rimandare sempre a quando sarò più bella, più magra, ABBASTANZA. Vorrei poter urlare così forte da spaccarmi i timpani, vorrei urlare e piangere e scrollarmi di dosso questi chili schifosi che mi rendono così triste, che mi fanno isolare: preferirei essere morta.
Mi piacerebbe vivere, se non fossi malata. Lo sono, per questo vorrei non esserci più. Vorrei che a qualcuno importasse di me, vorrei che qualcuno mi si sedesse accanto mentre mi fisso come sempre le cosce, la pancia, i fianchi e le mani, con gli occhi bassi, e mi dicesse "Non sei sola.", come si fa con un qualsiasi malato. Vorrei un abbraccio, un grande abbraccio in cui potrei piangere tutta la rabbia e la disperazione che mi stringono forte forte il cuore e mi rendono completamente sola in mezzo a tanta, troppa gente. Un abbraccio e qualcuno che mi batta un colpo sulla schiena e mi dica "Forza, alzati. Alzati come fai sempre, alzati perché lo meriti, alzati perché non puoi arrenderti a te stessa.".
Invece non succede, non succede mai; mai nessuno mi ha dato un motivo per alzarmi.
Ricordo che da piccola quando avevo i miei momenti di rabbia e tristezza scrivevo sul mio diario "Prima o poi mi ammazzo."
Tutti i bambini pensano al suicidio, e tutti desiderano morire, prima o poi. Almeno una volta, anche per gioco. Io mi sono trovata un disturbo alimentare piovuto dal cielo che non mi ha uccisa, ha fatto molto, molto di più: mi ha consumata.
Ha consumato tutto: le mie amicizie, la mia spontaneità, limando tutte le parti più belle e preziose di me. Ha consumato i miei giorni, le notti, ogni minuto lacerante della mia piccola, brevissima vita.
Ho quasi diciotto anni e sono una bambina con un problema migliaia di volte più grande di me, costretta a combattere da sola, senza la comprensione di nessuno.
Scusate il post che non siete certo obbligate a leggere. Non dovrei essere così egocentrica. Ma in questi momenti io odio stare così.
Soprattutto senza il mio amore.

venerdì 4 aprile 2014

Mi presento, avrei potuto farlo tra qualche mese

in quanto non sono una persona che ama fare le cose con ordine. Voglio raccontare un po' della mia storia, senza annoiare (spero, anche se io e i miei propositi sembriamo andare in due direzioni opposte...).
Dovrei studiare 100 pagine di letteratura italiana, ma mi do al cazzeggio, come al mio solito. Amo piangere sul latte versato.

Non sono sempre stata così. Ho 17 anni, tra 25 giorni diciotto. Vorrei non essere mai nata. Sembra una frase da ragazzina bimbaminkia super-viziata, e in effetti è come mi sento quando sparo certe cazzate: in realtà, amo essere nata, ma vorrei essere morta. Ci tengo a sottolineare che non vorrei morire: semplicemente, essere morta. Non sopporto il dolore fisico: forse è per questo che ho scelto il cibo come mezzo, credendo che fosse meno doloroso di un taglio da lametta.
Il più grande errore della mia vita.

Adoro il mio disturbo alimentare in quanto mi ha distrutto la vita: quando mi sono ammalata ero alta sempre 1.60 m e pesavo 48 chili.

Estate 2009, ero seduta a tavola con i miei cugini e la mia sorellina che pesava praticamente 20 chili. Non capivo che la mia era la pubertà, che ora ero una donna, e che mia sorella aveva 12 anni.
Io ho sempre avuto un rapporto un po' malato fin da piccola con il cibo. Mi pesavo in continuazione. Ma niente di serio, di pericoloso.

Comunque, ero seduta a tavola e parlavamo appunto di magrezza, e mio cugino piccolo (13 anni, davo retta a dei gagnetti) mi ha detto che non ero magra come mia sorella. Pensandoci ora, era più che ovvio, visto che avevo due anni in più e due tette rispettabili, ma in quel momento mi sembrò una tragedia. Sono andata in bagno e mi sono specchiata. Effettivamente ero grassa.

Boom. Semplice, veloce, improvviso. E' stata l'estate più infernale della mia vita. Quel commento non lo perdonerò mai a mio cugino, ho sempre associato il mio disturbo alimentare schifoso a quel commento, a mio cugino, anche se so essere una cazzata enorme.
Eppure, da quel giorno è iniziata la guerra. L'anno scolastico è stato un perenne tentativo di dimagrimento: mi chiudevo in casa a fare esercizi e mi pesavo duecento volte al giorno, così ho perso i miei primi due chili. Ricordo di non essere mai stata felice di vedere la bilancia calare. Mi sentivo sempre grossa, enorme, mi pesavo prima e dopo mangiato, dovevo dimagrire ancora. ANCORA. Ovviamente in quell'età dici tutto a tutti, e tutti sapevano della mia ossessione: ero quella che voleva dimagrire, quella rompipalle che non voleva mangiare più.

Estate successiva, 45 kg. Dimagrivo lentissimamente perché ero incostante, lo sono sempre stata, ma dimagrivo. Quell'estate mi sono ossessionata ancora di più: fotografavo ogni parte del mio corpo allo specchio, mi giravo e mi rigiravo, mi sfondavo di esercizi ed ero completamente iperattiva: cucinavo, apparecchiavo, decidevo cosa mia mamma doveva comprare per la spesa, facevo le pulizie; tornata a casa dalle vacanze, pesavo 44 chili. Avevo perso un altro chilo. Ma non me ne accorgevo. E avevo perso il ciclo, ma nemmeno di questo non si è accorto nessuno.

Iniziate le scuole superiori, continuavo con la mia ossessione, e arrivavano i commenti delle mie nuove compagne: "Sei anoressica", "Che vitino sottile" Balle. Tutte balle, non ci credevo. Io ero GRASSA. Giuro di non aver pensato nemmeno un secondo di essere anoressica.
Ma mia mamma ha deciso di portarmi da un medico perché il ciclo non tornava più, e lui disse di aspettare ancora cinque mesi per poterla chiamare amenorrea. Nessuna di noi sospettava fosse dovuta alla mia perdita di peso, che intanto si faceva sempre più consistente.
Un giorno mi sono pesata, e lo ricordo con nostalgia e rabbia: 43 kg.
Il giorno dopo, ero 42 kg.
La sera stessa mia mamma mi ha detto che il seno era scomparso, strano, che strana cosa, e ricordo di essere scoppiata a piangere. Non avevo più il seno! Ed io sapevo perché! Tutti hanno iniziato a chiamarmi anoressica, a dire che avevo un bel seno che non c'era più, ed io stavo male, volevo avere il mio seno di nuovo.
Così, pazza idea, ho deciso di ingrassare. In un annetto ho rimesso su tutti i miei desiderati chili, e sono arrivata a 50 kg. Il ciclo è ricomparso, ma io mi odiavo, e così ho voluto dimagrire di nuovo. L'estate successiva pesavo di nuovo 47 kg. Il ciclo, scomparso di nuovo. Era l'estate 2012.

Viaggi in ospedale da endocrinologi vari fino al verdetto: non avevo massa grassa per far riprendere il mio ciclo mestruale, così mi avrebbero dovuta ricoverare per fare accertamenti e farmi mangiare. Dovevo mangiare; l'endocrinologa ha precisato: controlla ossessivamente quello che mangia.

Non mi ero mai sentita sbattere in faccia così il mio problema, e con mia mamma, sebbene io sapessi quanto avesse ragione, abbiamo riflettuto che era pazza, che ero solo stressata. Ma, tornata dall'estate, mi ha prescritto una meravigliosa dieta ingrassante.
Che ho seguito talmente alla lettera da iniziare ad abbuffarmi, cosa che non avevo MAI fatto prima, nemmeno nel mio periodo "grasso". Vomito, abbuffate, diete misere, abbuffate, pancia gonfia, pianti. Fino ad oggi che ho la bilancia rotta e peso, credo, sui 57 kg. Ho una settima di seno.

Legge del contrappasso? Credo più che Dio si prenda gioco di me. Mi fa così ridere. Non riesco a dimagrire come prima: ormai ho scoperto le abbuffate: una volta MAI mi sarei concessa uno spicchio di torta; adesso, sono in grado di mangiarla tutta.

Ciao, disturbo alimentare. Facevo prima a tenermi i miei merdosi 48 chili e vivere serena e da diciassettenne.
Invece ciao, disturbo alimentare. Fottutissimo disturbo alimentare. Chissà quale problematica familiare profonda deve averti aperto la strada per la distruzione di tutta la mia cazzutissima vita. Voglio tornare a stare bene. Senza calorie, ma con il carburante per il mio corpo, che dovrebbe essere il MEZZO per vivere e divertirmi, non il FINE da torturare, massacrare.

Buona serata a tutte, vi abbraccio forte.

Buongiorno,

eccomi al secondo giorno, di nuovo. Ci sono stati centinaia di secondi giorni.
Ecco il D.A. di oggi.

C: 2 fette di ananas
3 fette biscottate iposodiche --> 21x3 kcal
30g di cereali: 110 kcal
1 mandorla
te verde

S: una carota.

P: come previsto, un panino (200 g di pane -.-) con
50g salmone
100g stracchino
olive nere.

S: mela
1/4 focaccia ligure.

C: non so, spero meno di oggi.
infine ho mangiato insalata di carote
fagiolini
carciofini sotto aceto e un pezzo di focaccia ligure.

Comunque sono contenta del pranzo, non dal punto di vista calorico (non ho nemmeno osato contare le kcal), bensì per il fatto di aver rispettato i miei piani. Il venerdì è la giornata panino mia e del mio ragazzo, e non mi va che le mie stupide fissazioni e ossessioni mi tolgano anche questa.
Scrivo più tardi per completare la cena!

mercoledì 2 aprile 2014

Eccomi,

Pronta a ri-cominciare, dopo questa interminabile serie di abbuffate. Posto il mio primo D.A. che aggiornerò nel pomeriggio; dico il primo sul blog, perché cartaceo lo possiedo da ormai tanto tempo. Spero che questo mi aiuti a non fallire più.
Non vi aspettate che siano 500 kcal, perché so per esperienza, come saprete bene anche voi, che è sostanzialmente inutile quando non si ha una volontà più che ferrea.

C: te verde
2 fette di ANANAS. (Mangio sempre la frutta a colazione.)
3 biscotti ripieni alla mela
1/4 di fetta biscottata
1 mandorla.

non sono riuscita a contare le kcal dei biscotti perché sulla confezione c'è scritto "kcal per porzione-->132 kcal. Non capisco cosa intendano per porzione e perché diamine non scrivano le kcal di UN biscotto -.-
aggiorno più tardi.

Eccomi!

S: melina piccola

P: risotto in bianco con spolverata di pecorino
peperone al forno con pangrattato
MELA. (So che mangiare la frutta direttamente dopo pasto è sbagliatissimo, ma sono tre giorni che mi abbuffo senza sosta, per questo credo ci sia di peggio di una mela. Solitamente la mangio prima del pasto.)

S: lupini + te verde

C: platessa con carciofini sotto aceto
melanzane sotto aceto
serata: MELA.

Oggi sono andata a fare la spesa con mia mamma. Io ADORO fare la spesa. Mi piace girare tra gli scaffali alla ricerca delle cose più colorate e gustose, e con pochissime calorie. Ovviamente, nelle giornate SI. Perché nei giorni NO, al supermercato odio andare perché so che avrei voglia di abbuffarmi. Invece mi piace avere voglia di roba salutare.
Oggi ho comprato dei corn-flakes da mangiare domani mattina con l'ananas e due fette biscottate iposodiche e ipocaloriche (21 kcal per ogni fetta biscottata!). Ovviamente con la mandorla, che adoro di mattina ed è antiossidante.
Domani pranzerò con il mio ragazzo, e per fortuna so già cosa mangeremo: andremo a comprare un filoncino di pane e ci metteremo salmone, crescenza e olive. Lo so, il pane non è il massimo per il mio obiettivo ma ripeto: dovessi privarmene, in un'abbuffata, conoscendomi, me ne sbranerei più di cinquanta fette.

è triste che il mio umore dipenda da ciò che mangio? Sto bene quando mangio bene.

Sempre domani, domani - dinamiche della mia abbuffata


E' proprio incredibile. Soffro di disturbi alimentari. E ieri, l’altro ieri, quello prima e quello prima ancora mi sono abbuffata. Una volta, anche solo un mese fa, mi sarei messa le mani nei capelli, avrei pianto disperatamente, mi sarei odiata, mi sarei sentita ragionevolmente una fallita. Avrei sperato nel domani, avrei pianto, avrei scritto deliri e preghiere.

Oggi non voglio farlo.

Sto crescendo il doppio insieme al mio disturbo alimentare, lo sto imparando a conoscere e sto tentando di capire perché sia qui con me, perché sia entrato a far parte della mia vita e perché, nonostante i miei sforzi, non abbia intenzione di uscirne. Ho deciso che non mi arrendo più. Voglio combattere perché sto iniziando a capire, anche se non capirò mai, ma ce la voglio mettere tutta, chi siamo io e il mio vizio.

Perché? Perché un malato non ha niente da rimproverare a se stesso. Ed io sono malata.

Oggi lo so.

IO SONO MALATA. MALATA.

E BASTA! Perché non è colpa mia, non lo è! Sono malata. Oggi voglio avere pietà di me: anche se il mondo non conosce e non comprende questo non vuol dire che la mia malattia non esista! E non ho mai cercato di capirlo, non mi sono mai data una possibilità. Sono malata.

Ho percorso un cammino per quattro anni e mi sono accorta che è appena iniziato, oggi, perché oggi ho finalmente realizzato che sono malata, non stupida. Malata, non fissata. Malata, non fallita. Ed è proprio il pezzo forte della mia malattia, farmi credere di essere colpevole mentre è solo lei che si impossessa di me. Oggi non guarisco: oggi accetto. Accetto che il conteggio della calorie, il diario alimentare, le abbuffate, le briciole di un sacchetto di biscotti o di un minestrone di verdure mangiato in un giorno intero, da solo, senza nemmeno una mollica di pane, sono parte della malattia.

Che colpa ne ho? L’unica differenza con un tumore è che nessuno mi compatisce. In realtà, precisamente, a nessuno importa. Perché è un capriccio, una fissazione, un circolo vizioso creato da me. Non esiste nessuna malattia, ho letto da qualche parte. Sono solo ragazzine capricciose, viziate ed insoddisfatte.

E invece sotto c’è un’infinità di disperazione e voglia di vivere, di piangere, di urlare, di essere ascoltate … perché mi sono accorta che ogni volta che mi sento sola, che SO PER CERTO di essere sola, ma non sola a casa, sola in camera, bensì sola nel mondo, sola con la mia malattia che nessuno conosce, nessuno capisce, io mi abbuffo. So benissimo cosa proverò dopo, quanto starò male, ma so anche che lo farò perché è una naturale conseguenza della mia incapacità di gestire la mia malattia, so che lo farò perché è l’unica cosa da fare, perché non posso parlarne con nessuno,  perché in quel momento ho un vuoto indefinibile che niente e nessuno potrebbe immaginare, né colmare.

Perché il vuoto che crea la mia malattia non è un languorino, uno spazietto dopo cena per un pezzetto di torta; il mio vuoto diventa una fame assurda, ingestibile, una fame di tutto, del mondo, un vuoto che riempirei con tutto e allora non prendo uno stuzzichino come una persona normale, un pacchetto di cipster come una persona golosa, una caramella o un quadratino di cioccolata come una persona grassa. Io prendo il mondo. Una panella intera con un intero barattolo di nutella bianca, marmellata, una torta, un pandoro, un pacco di toast con una confezione di prosciutto e una di Philadelphia, una scatola, non un sacchettino, una scatola intera di crackers, venti caramelle, un pacco di grissini con il miele, un’altra panella con olio e sale, formaggi, creme spalmabili e non è nemmeno detto che finite tutte queste cose, questa INFINITà di cose, io sia piena fino a scoppiare: potrei avere ancora fame e ricominciare mangiando per la seconda volta le stesse identiche cose oppure, nei giorni migliori, fermarmi qui: sdraiarmi sul letto con la bocca insensibile, la lingua addormentata e lo stomaco che tira, tira spaventosamente, ma sarebbero le conseguenze migliori. Per le meno fortunate come me che soffrono di reflusso gastroesofageo sono assicurate fitte al petto che sembrano piccoli infarti, che bloccano completamente la respirazione, che affannano; un rigetto di succhi gastrici nella bocca che corrodono la gola, che ti fanno venire voglia di vomitare ma che te lo impediscono perché troppo dolorosi. Ma anche queste sono le conseguenze minori. Insignificanti. I dolori alle gambe che non ti fanno camminare per i due giorni successivi, alle braccia, ai denti; la bocca anestetizzata che non ti permette di mangiare niente, ed anche questi sono i danni trascurabili.

La testa. Il cervello. Le voci dentro che si affollano e ti urlano “Maiala. Stupida. Fallita.” E tu pensi “Sono esattamente questo. Una maiala stupida fallita. Fallita.” Il pianto. Che non serve, non basta, non cura, non aiuta, non fa tornare indietro il tempo. Non avresti dovuto farlo. E questo lo pensi la prima volta. Lo pensano tutte. Il primo anno pensi questo. “Non avrei dovuto farlo.” Il secondo anno non piangi più. Non ti odi più. E pensi : “Perché continuo a farlo?”

Sono in questo anno. Mi sto iniziando a chiedere perché e mi sto rispondendo, a poco a poco, tra incomprensioni e sillenzi perché ho imparato a non aspettarmi che la gente capisca. Nessuno lo sa, e non voglio che lo sappia. So benissimo che devo guarire da sola. So che sarà lunga. Anni, forse decenni. Forse non guarirò mai. Silenzio.

Ma sono sicura che una frase accomuni tutte le bulimiche di questo mondo. Al primo, al secondo, al terzo, al decimo, al trentesimo anno. Anche per tutta la vita. Ed è la frase che tutte temono di più perché riempie di speranza, e lascia sempre deluse.

DA DOMANI.

martedì 1 aprile 2014

Non ricordo per cosa sto lottando.

Sono gli ultimi secondi prima di un'abbuffata. Sono quei secondi in cui sai di poterti fermare. E cerchi di ragionare: come ti sentirai dopo, visto che conosci a memoria ognisensazione; come starai domani; quanto sarai incazzata con te stessa e con il mondo; quanto piangerai; quanto vorrai tornare indietro. Ed è incredibile come questa malattia possa far perdere completamente la razionalità, come possa disintegrare ogni manifestazione di volontà, come possa impossessarsi dell'intelligenza trasformando ogni buon proposito in uno sbaglio. Spero di essere piu forte io, e sarebbe la prima volta.