venerdì 20 novembre 2015

Capisco come, ma non capisco PERCHE'.

Ciao ragazze.
Vi prometto che tornerò a commentarvi tutte, appena farò ordine nella mia testa un momento.
Io sono quella dei propositi, no?
Mi avete lasciato dei commenti bellissimi, ed io voglio dedicare ad ognuno l'attenzione che si merita, almeno un po'. Siete meravigliose.
Sinceramente non speravo che qualcuno avrebbe commentato, invece siete sempre presenti e questo è l'unico posto in cui sento di poter parlare.

La situazione sta diventando insostenibile ed io credo di non poter fare niente se non scrivere. Non so se lo faccio per chiedervi un parere, per sapere cosa voi ne pensiate, oppure semplicemente per egocentrismo.
Per prima cosa, la dottoressa ha disdetto l'incontro (per chi non lo sapesse, avevo finalmente preso appuntamento in un centro per disturbi alimentari): sembra destino.
Doveva partire urgentemente per problemi di famiglia, ha detto che si farà risentire.

Intanto io a casa mia sento un odio stratosferico nei miei confronti che sta sospeso tra me e quelli che chiamo i miei genitori.
Non so più chi siano.
Ieri poi è successa una cosa che non succedeva da tempo: ho pianto tantissimo.
Non che io non pianga, certo, ho pianto anche recentemente come vi dicevo nello scorso post; però questa volta ho pianto per i miei genitori.
Perché ho sentito da parte loro con violenza un odio profondo nei miei confronti, e non ho capito niente.

In questi ultimi tempi sto provando a comportarmi bene con loro: l'altra sera mia mamma aveva mal di schiena ed io le ho fatto un massaggio, provo a raccontare ai miei dell'università a cena, provo a sorridere, a trascorrere più tempo la sera con loro, magari guardando un film, e vi assicuro che lo faccio contro ogni propensione a mandarli a fare in culo per tutto quello che mi stanno facendo e mi hanno fatto; ho provato a fermarmi ed a pensare che forse il problema potevo essere io, che il fatto che non si amassero più derivasse da me sempre così scostante, così lontana, silenziosa, sofferente.
Così ho deciso di provare a comportarmi da adulta, e sono giorni che tutte le sere a cena parlo dei professori, delle lezioni, ho fatto anche un foglio a mia mamma con gli orari dell'università così magari, ho pensato, è più tranquilla, si fida quando le dico che torno alle tre perché ho lezione fino alle 14, insomma ho provato un po' a collaborare.
Di solito tra me e mia sorella lei è quella "ribelle", che va male a scuola, io sono sempre stata la figlia modello, in qualche modo, quella dei voti impeccabili a scuola, quella che studia senza che nessuno glielo dica, di cui lamentarsi del 7 in pagella, quella che però non parla mai, risponde poco, nasconde l'odio.
Ho provato a parlare di più, ho pensato che mio padre non mi calcolasse per colpa mia, perché io non glielo consentivo, così ho provato a fargli ascoltare una registrazione di una lezione di filosofia morale ed anche se dopo cinque minuti si è alzato e se n'è andato perché si annoiava io l'ho considerata una piccola vittoria, un passo avanti.

E poi ieri sera.

Stavamo cenando, io raccontavo della mia università, mia mamma raccontava dei colloqui avuti a scuola da mia sorella con i professori, tra cui un mio ex professore perché io e mia sorella abbiamo frequentato la stessa scuola.
Così mia mamma racconta serenamente, ridiamo, mi sembra di fingere bene, mi sembra di fare uno sforzo per guadagnarmi un po' di amore, un po' di qualcosa... poi mia mamma inizia un po' a prendere in giro questo mio professore del liceo, e tutti siamo d'accordo, ne ridiamo, io anche ne parlo male e ridiamo anche di questo, poi sparecchiamo ed io mi preparo per andare in Oratorio a fare una riunione, mentre mia sorella rimane a casa.
Prima di uscire, visto che un neo mi fa male da un po' di giorni, dico a mia mamma di chiamare il medico, lei mi da un bacino, mi dice di stare tranquilla che lo chiama lei ed a me sembra quasi per un secondo che mi voglia bene, che sia sincera, provo a dimenticare come si comporta di solito, ad assumermi le mie responsabilità di figlia, provo ad andarle incontro.
Non sono la Santa della situazione, sia chiaro; solo credevo davvero di essere parte dei problemi dei miei genitori: che mia mamma mi spiasse perché mi chiudo troppo in me stessa, che mio padre non mi calcolasse perché non racconto mai niente di me a casa, insomma ho provato, se pur da pochi giorni, a cambiare qualcosa di me.

Arrivo in oratorio e non faccio due passi che mia sorella mia chiama al cellulare.
Le rispondo e la sento incredula e affannata che mi chiede se ho un minuto perché mi deve raccontare una cosa assurda.
Così parliamo e lei mi dice che appena io sono uscita di casa lei è salita in camera sua ma fermandosi sulle scale perché internet prendeva bene.
I miei credevano che lei se ne fosse andata in camera, non sapevano che fosse rimasta sulle scale, così ha sentito mia mamma che diceva a mio papà: "Non dare retta a quella. Hai sentito come parla del suo professore? Non darle corda quando parla così.
E' una cafona. Una cafona.
Ma io l'ho detto al professore ai colloqui: io a Cecilia l'educazione l'ho insegnata, poi lei ha scelto di non applicarla.
L'ho detto al professore: è soltanto una cafona.
Crede di essere diventata grande ma è solo una bambina piena di sé."
Mentre mia sorella parlava io piangevo. Mi riferiva queste parole di cui ognuna era un pugnalata feroce, un cazzo di colpo alle spalle, una mossa sleale.
Le lacrime cadevano e non riuscivo a fermarle, come non mi capitava da secoli.
Sentivo quel nodo in gola, quella specie di nodo che strozza, che non fa respirare, e tutto perché volevo piangere.
Tutto perché non capivo. Per la prima volta io non capisco.
Per quanto mi sforzi queste parole mi sono più incomprensibili di quelle di Kant, non riesco a decifrarle.
Mi suonano in testa, e non sono per nulla arrabbiata con mia mamma.
Solo mi chiedo perché.
A cena non avevamo litigato, stavamo ridendo, stavamo prendendo in giro questo professore che è un po' bipolare, mia mamma per prima!
Mentre invece ad uno stupido colloquio un'ora prima era con lui che sputtanava me.
Gli ha detto che sono una cafona, che non ho educazione, cosa gli ha detto? Che io parlo male di lui?
Io capisco come. MA NON CAPISCO PERCHE'! E per quanto io continui a sforzarmi di trovare una ragione per la quale mia mamma avrebbe dovuto dire quelle cose a mio padre dopo avermi dato un bacio e tranquillizzata per questo neo dolorante non ce la faccio, non la trovo! Solo vuoto, solo incomprensione, solo domande che risuonano "perché!"... Dopo aver riso a tavola con me!
Non riesco a capire!
E non capisco che cos'ho di sbagliato!
Perché continuo a fare la lista delle cose che faccio: non ho mai dato problemi a scuola, sono l'unica della mia classe ad essere uscita con un merdoso 95 dalla maturità studiando diligentemente come una brava bambina, vado all'università, non salto UNA LEZIONE, nemmeno una, fino alle 18 di sera o fino alle 14 e quando arrivo a casa studio, non guardo nemmeno la televisione, per vedere il mio ragazzo studio con lui sul tavolo in cucina, nemmeno mi chiudo in camera da sola a cazzeggiare, aiuto a cucinare, ultimamente racconto anche di quello che faccio a lezione, guardo i film con loro la sera sul divano per fare loro compagnia, non esco la sera perché non mi fanno uscire e comunque non lo farei, il sabato sera sono a casa alle 23.30 come mi dicono, e non dico che tutto ciò mi renda inattaccabile ma vorrei soltanto capire DOVE SBAGLIO!
E perché, perché mi sono meritata quelle parole!
E perché mia madre continua ad odiarmi, a parlare male di me alle mie spalle come fossi la sua amichetta del liceo e non sua figlia, che dovrebbe amare (oppure no?)!
Forse mi sbaglio, forse l'ho sempre negato con una profonda e finta indifferenza soffocando tutto nel cibo schifoso in chili di cibo ma io VOGLIO UN PO' DI AMORE!
E qui, in questa casa, c'è solo merda! Perché di tutto, di tutto infine io sono una cafona! E tutto si può ora riassumere così! E mia madre lo dice anche al mio professore del liceo, perché lei i suoi figli non li difende davanti ai professori, li sputtana!

Perché mia madre è falsa?  O meglio: può essere falsa una madre? Può sparlare dietro una figlia come fosse la prima della classe al liceo con cui è in competizione per un voto? E può mettersi i miei vestiti, frugare nei miei armadi, leggere i miei diari?
E porca puttana!, sto piangendo anche adesso mentre scrivo e dopo essermi abbuffata di nuovo!
Perché da lunedì io passerò al digiuno, perché non ho mai provato una voglia così forte e prepotente di sparire, sparire, sparire!
Per essere invisibile, per non sopportare questo odio, questo termine che mi rimbomba in testa "cafona!" "bambina piena di sé!"
Tutto mi risuona maledettamente in testa!

Ed io mi sento un rottame, ho la testa bassa, sorrido a mia mamma come se non sapessi quello che mi ha detto alle spalle appena sono andata via, senza motivo, senza motivo, senza motivo... e sono incazzata perché mi fa male!
Perché abbuffarmi non è servito a un cazzo, se non a farmi diventare la faccia rossa e gonfia!
Perché sto male lo stesso!
Perché non voglio mangiare più.
Voglio capire perché non merito amore, e mi sento davvero una bambina piena di sé, una bambina.
Forse hai ragione, mamma. Ed è per questo che sto così male: perché tu hai ragione. E qualsiasi cosa io faccia, che prenda 30 a tutti gli esami, che studio 26 ore o che esca a bere con gli amici come fanno le persone della mia età, che io ti chiami troia come dovrei fare o che ti faccia il massaggio alla schiena e ti appenda i miei orari alla porta per aiutarti a controllarmi meglio, sarò sempre una cafona ed una bambina.
Di merda. E non posso fare niente.
Se non dimagrire.
NON C'E' NIENTE CHE IO POSSA FARE.

domenica 8 novembre 2015

Appare così, ma non è così.



Un mese che non scrivo, non commento, non leggo.

Inutile dire che non ho novità convincenti per nessuno, inutile dirvi che scrivo un po' per me stessa anche perché non sapete quanto sinceramente io mi vergogni di scrivere quello che sto per scrivere.

Però non so: forse più per un gesto di onestà, uno dei pochi di questo ultimo mese, sento di dover scrivere.

Ci ho riflettuto tanto e poi ho deciso di mettere nero su bianco quello che avrei dovuto ammettere ed accettare fin dal primo giorno.

Vederlo sulla pagina, spiattellarlo a persone che non conosco, mi fa come provare un senso di giustizia.

Non so proprio da dove cominciare.

Comincerò con il dirvi che filosofia mi piace sempre di più: sembra un altro mondo, è impressionante quante cose si possano studiare: addirittura stiamo leggendo la “Critica della ragion pratica” di Kant e mi piace! Ascolto le lezioni incantata e vi assicuro che non sono mai stata così entusiasta di qualcosa.

(Se qualcuna di voi dovesse essere indecisa o combattuta come lo ero io quando avrei voluto qualcuno che mi dicesse “Sì, fallo!”, io dico: Sì, FALLO!).

Le lezioni sono fino alle 18 ed io prendo il treno stremata, lo aspetto seduta per terra, vivo sui mezzi pubblici, torno a casa stanca eppure trovo la forza di aprire uno dei libri e studiacchiare qualcosa.

Sono immensamente più rilassata che al liceo e studio paradossalmente di più.

Non sono sicura che gli esami andranno bene ma, sembra assurdo, non mi interessa.

Potrei prendere una sfilza di 18: l’unica cosa che non mi perdonerei sarebbe non sapere.

Invece io voglio sapere, io mi interesso, scavo, collego, approfondisco, riassumo, scrivo.

Premetto che non ho conosciuto nessuno, zero, nemmeno una persona, nemmeno un amico, nemmeno uno con cui scambiare due parole durante il giorno: pranzo da sola, studio da sola, giro da sola, sto sola fino alle 18 tutti i giorni. Ho scoperto e confermato il mio essere profondamente asociale, il mio voler essere così: non sopporto più le persone. Non ho voglia di nessuno con cui parlare per finta, con cui costruire un’identità, con cui essere diversa da qualcosa che non sono, con cui esistere per forza.

 

Ebbene qui arriva la parte più difficile da spiegare, ma ci voglio provare.

 

Questo entusiasmo non è puro.

Non riuscirei a definirlo altrimenti.

 

Un giorno alla lezione di filosofia teoretica mi si è seduto accanto un ragazzo: altissimo, i capelli biondo scuro, magro, dall’aria presuntuosa e silenziosa.

Siamo stati seduti l’uno accanto all’altra per due ore, senza scambiarci nemmeno una parola, come normale. Ridendo dentro di me ho pensato che fosse bellissimo, ma niente di più.

Poi sono passati dieci giorni vuoti, in cui io come al solito studiavo, pranzavo da sola, giravo da sola, prendevo il pullman da sola.

Dopo undici giorni, mi è tornato in mente.

Come se mi fossi all’improvviso ricordata che questo ragazzo esisteva: così è diventato un’ossessione.

Non so proprio come io possa scriverlo qui, a voi, però come vi ho detto questo è un moto di onestà anche se tremo all’idea di quello che potrete pensare.

Ho iniziato a fissarlo in modo ossessivo tutti i giorni, a cercarlo con gli occhi, a studiarlo, a scrivere l’ora in cui arriva a lezione, il posto dove si siede e, quando l’ho scoperto, ho iniziato a sedermi sempre una fila sotto di lui.

L’ho fissato così intensamente per un mese intero, tutti i giorni, che lui se n’è accorto ed ha iniziato a ricambiare qualche sguardo con un altrettanto sguardo ma, nel suo caso, pesantemente infastidito.

La cosa tragica è che più lui mi guarda con disapprovazione, più io continuo a fissarlo e non distolgo lo sguardo neppure quando lui inizia a fissarmi di rimando con gli occhi che mi rimproverano.

Forse non è così, forse nemmeno se n’è accorto; fatto sta che per giorni ho pianto per lui, per giorni l’ho seguito nella pausa pranzo fino ad una via che imbocca sempre e nella quale io non ho ancora avuto il coraggio di seguirlo.

So che raccontarlo lo distrugge, ma questo avvenimento mi sta segnando e non so come descriverlo senza farlo sembrare stupido.

Per giorni ho praticamente smesso di sentire la fame perché pensavo a lui, e per tutti gli altri ho iniziato ad abbuffarmi per sentire qualcosa di diverso dalla profonda attrazione per lui.

Ne ho parlato al mio ragazzo, ho pensato quasi di lasciarlo, abbiamo pianto tanti giorni anche se lui è stato comprensivo (il mio ragazzo non è per niente geloso: chissà perché le persone che mi stanno accanto non lo sono mai!) e mi ha detto che la cosa che vuole più di tutte è che io sia felice e che se credo che ci sia qualcosa in quel ragazzo io devo seguire quello che sento.

A me invece sembra di essere tornata alle scuole medie, solo che adesso al posto del ragazzetto carino che guardo incantata c’è un oggetto REALE: mi sembra davvero l’unico ragazzo in quell’aula piena ad avere consistenza.

È davvero la cosa più bella che io abbia mai visto, e la più vera. So che ne ho parlato velocemente e con fare un po’ distratto, ma lui è bello da togliere il fiato.

Prima che entri lui le duecento persone che mi circondano sono zero, non sono niente; appena lui arriva l’aula si riempie, a me si ferma il cuore e smetto di respirare: credevo fossero cose che succedessero solo nei cartoni animati e nei film, ma io sento seriamente il cuore che si ferma e non riesco a respirare.

Lo guardo e non riesco a smettere di farlo finché lui non si va a sedere e poi continuo ignorando la sua amica che mi fissa irritata e quelli di fianco a me che cercano di capire dove io guardi per tutte le due ore di lezione.

Vi ho detto che studio molto più che al liceo: non è solo la passione per quello che studio a guidarmi: in realtà studio come una matta per non restare indietro con gli esami e non perdere lui, e già mi sento persa perché ho il terrore che lui seguirà corsi diversi dai miei.

Non so assolutamente il suo nome e vi assicuro che in 3 anni di relazione felice e piena con il mio ragazzo non mi era MAI, MAI capitata una cosa del genere.

Non ho avuto mai occhi per nessuno all’infuori del mio ragazzo, io lo amo tantissimo, eppure adesso giuro che è la situazione più dolorosa e irrazionale che io abbia mai dovuto affrontare.

Non ho pensato al cibo per settimane, non mi interessava nemmeno di abbuffarmi, era una cosa meccanica a cui non davo importanza perché pensavo a lui, lui, lui, lui.

Adesso sono a casa fino a mercoledì per una finestra esami e non so come io stia riuscendo a gestire la voglia che ho di vederlo.

Trascorro i pomeriggi sui libri a piangere perché la situazione è questa:

-ho trovato qualcosa di reale finalmente.

-questa persona è reale perché io non posso raggiungerla, conoscerla, averla.

-il non poter averla, raggiungerla, conoscerla mi fa stare come un cane e rende tutto il resto un penoso sfondo.

-se voglio che rimanga reale non devo raggiungerla, conoscerla, averla.

Sembra abbastanza tragica descritta così.

Io sono consapevole che questa situazione è malata, sono anche convinta che il mio abbuffarmi continuo di queste settimane (ho raggiunto e superato i 70 chili! Andiamo!!) non sia affatto indipendente e distante da tutto ciò, e so che anche questo ragazzo da cui sono attratta ed ossessionata rappresenta niente meno che (rullo di tamburi!) un tentativo di evasione dalla mia vita, l’ennesimo.

Visto che probabilmente questa storia di abbuffarmi e sognare la magrezza per colmare i vuoti stava annoiando me, il mio corpo e la mia mente, abbiamo tutti e tre focalizzato la nostra attenzione su qualcosa di altrettanto irraggiungibile: il ragazzo senza nome e bellissimo.

Inoltre continuo a farmi influenzare dal fatto che ha scelto filosofia e che deve avere un sacco di cose in comune con me, deve essere un ragazzo diverso, particolare … insomma un lavoro psicologico che ci sarebbe da divertirsi ad analizzarlo.

 

Anche perché ci ho provato da sola: ho provato ad immaginare che tutti questi meccanismi complicati di rimozione, sostituzione, spostamento dipendessero dalla situazione che sto vivendo e che voglio prendermi la briga di raccontarvi brevemente.

-Mia madre mi ha confessato che va da una psicologa (mentre non vuole assolutamente e mai ha voluto mandarci me.)

-che lei e mio padre vanno abitualmente a parlare con un prete che secondo me è più un esorcista perché mio padre sta diventando violento e perde la pazienza ogni momento, oltre al fatto che non ci ama come vi avevo accennato (sì, continua a dire che io e mia sorella lo lasciamo profondamente indifferente e bla bla bla)

-e che loro due vogliono separarsi

Ed ho ottenuto da parte mia, analizzando queste cose, una fortissima apatia.

È come se qualcosa dentro di me mi impedisse di realizzare questa situazione familiare, come se

 

-le urla di mio padre quando butta la sedia per terra perché nell’insalata non c’è il sale o cose simili fossero un atto totalmente lontano da me e dalla mia vita;

-come se mia madre che mi svuota l’armadio ogni sera e mi legge i quaderni e poi mi manda le mie frasi sul telefono per messaggio non mi riuscissero a penetrare, non riuscissero a toccarmi:

 

ed io mangio e penso al ragazzo, io mangio e penso che devo smettere di mangiare, io rido e penso che ridere non è normale in queste circostanze, io piango e penso finalmente che è cosa buona e giusta ma piango per il ragazzo e dovrei piangere per altro ed intanto studio perché sono innamorata di ciò che studio, mi porta fuori da questo mondo che non mi riguarda e mi porta avanti con il programma per poter dare gli esami con ragazzo.

Non sono più in grado di amare il mio fidanzato perché l’amore nella mia famiglia non esiste più e quindi probabilmente qualcosa nel mio inconscio mi spinge a non voler amare più.
Vorrei soltanto cambiare vita, soltanto aver quel ragazzo per me, un’altra persona, altre frasi, altre situazioni, altri baci altro profumo.

Vi assicuro che vissuta è più triste di così.

E tra tutto volevo annunciarvi che ho preso appuntamento in quel centro di disturbi alimentari e l’ho preso quando l’altra sera ho vomitato come non succedeva da mesi e mesi e mi sono scoppiati i capillari negli occhi che si sono iniettati di sangue ed io odio il sangue e mi sono dovuta sedere perché mi sono sentita mancare ed ho seriamente, per la prima volta, avuto tanta paura.

Sento che se questo centro non dovesse aiutarmi le cose precipiterebbero tutte insieme in un buco nero qualsiasi.

Non dico di aver raggiunto il limite perché ogni volta lo dico ed ogni volta invece l’asticella si alza.

domenica 4 ottobre 2015

Il mio ragazzo mi ha tradita.


Sono giorni che va male. Ho bisogno di scrivere per riordinarmi le idee, se di idee stiamo parlando.
Dovrei dire riordinare quello che sento e che succede attorno a me, a cui io non partecipo.
Il primo punto è l’università: mi piace tantissimo. Sebbene io non faccia niente se non guardare una persona che mi somiglia tanto seduta nel cinema ad ascoltare una bella lezione di filosofia morale, seguirla nel circolo dei lettori ad ascoltare quella di filosofia teoretica, sebbene io la veda partecipare attivamente a logica, prendere appunti di filosofia morale, ecco, sto bene. Sto bene mentre ascolta una lezione su Kant, mentre legge la Critica della ragion pratica e capisce poco ma si entusiasma perché i pezzi a poco a poco si uniscono. Questa persona che io seguo, che guardo, che osservo, è una studentessa entusiasta, brillante, critica e appassionata. A volte mi pare proprio di essere lei e mi dico che è bellissimo essere lei, ed è bello anche correre avanti e indietro per Torino cercando le diverse lezioni, perdere pullman, sbagliare posti; posso assicurarvi che in quei momenti io potrei essere felice.
Poi arriva un giorno, il mio ragazzo che amo tantissimo mi scrive che il suo esame di microbiologia si spalma su due giornate, e mi dice “Il mio nome dovrebbe uscire venerdi, ma io vado per sicurezza giovedì.”.
Quello stesso ragazzo giovedì mattina si sveglia, mi scrive che sta andando all’università a sentire gli altri che danno l’esame e, sempre quel ragazzo, mi chiama verso le due di pomeriggio, dopo circa sei ore che io aspetto con ansia, e mi dice con un tono di voce entusiasta, tranquillo e nello stesso tempo soddisfatto: “Amore, indovina? Credevo seguissero l’ordine alfabetico, ma ad un certo punto invece hanno estratto una lettera a caso e indovina? È uscita la mia! Così sono passato!! Ho preso 28!”
Io sono in estasi, dopo tutto quel tempo che aspetto, non mi sembrava vero!
Mi raggiunge a casa mia, facciamo l’amore perché io sono tanto contenta e poi passiamo tutta la giornata insieme, ceniamo insieme, ridiamo, guardiamo film fino alle due di notte, poi lui rimane a dormire da me perché i miei sono partiti per Lisbona e abbiamo una sola notte prima che arrivi mia nonna dalla Campania a controllare, ci svegliamo insieme, usciamo, lui mi racconta il suo esame in dettaglio, io rido, lo bacio, sono fiera di lui, sono veramente felice!
Poi quella persona, quel ragazzo, non è più QUEL ragazzo, è un’altra persona.
Perché la domenica poi litighiamo per motivi un po’ stupidi e lui ad un certo punto così, senza preavviso, senza che io glielo avessi chiesto, inizia a piangere.
Mi sale in cuore in gola, e piangendo mi dice “Ti devo dire una cosa.”
Lo guardo spalancando gli occhi, stavo per vomitare, lui urlava e piangeva e mi abbracciava e mi diceva “Non volevo mentirti”.
Il mio cuore batteva fortissimo ed anche quella non ero io, non ero più la persona del giorno prima, nemmeno quella entusiasta del pullman e di filosofia teoretica, ero una persona che voleva vomitare e non sapeva cosa dire.
“mi hai tradita?”
Gli ho chiesto.
E quel ragazzo che in quel momento non era il mio, che forse io non avevo conosciuto mai nella mia vita mi ha risposto “Si. Non ho dato nessun esame. Non mi sentivo pronto, volevo chiamarti la sera prima e dirti che non lo avrei dato ma poi ho pensato a come saresti rimasta delusa, ho pensato al tuo viso deluso, ho pensato..”
Il mondo mi è crollato addosso pezzo per pezzo, non credo di essere stata mai così male.
Non sapevo piangere, non sapevo parlare, non sapevo pensare, solo ho detto “E giovedi mattina sei venuto qui a torino e sei stato sei ore in giro, dalle otto di mattina, senza dare nessun esame? La tua chiamata era finta?”
Lui ha risposto di sì ed io mi sono sentita mancare.
La sera mi sono chiusa in camera ed ho pianto come mai in vita mia, ho pensato di avere qualcosa di molto sbagliato se il mio ragazzo non se la sentiva di dirmi che non avrebbe dato l’esame, ho pensato di essere una persona brutta, schifosa da non farlo sentire a suo agio, mi sono sentita sua mamma, il suo divano, la sua macchina, un oggetto che non aveva nulla a che fare con lui.
Ho persino pensato come avessi potuto fargli capire che per rendermi felice avrebbe dovuto prendere 28 a quell’esame.
Le cose che mi rendono felici sono il suo sorriso, il suo profumo, le sue mani, non i suoi voti, non i suoi esami.
Eppure lui lo ha pensato.

Ma no, non era nemmeno questo a rendermi così profondamente infelice.
La realtà è che lui mi ha mentito, mi ha raccontato di un esame dettagliato, ridendo del professore che lo interrogava, lui mi ha chiamata ed io non ho capito la sua voce bugiarda, e mentre facevamo l’amore non ho sentito nessun odore di menzogna sul suo corpo, non ho visto il rimorso nei suoi occhi, lui non era più lui: era un bugiardo.
Ed io per giorni interi non solo non l’ho capito, ma l’ho abbracciato, ho riso mentre lui mi prendeva per il culo, mi mentiva, l’ho toccato, gli ho stropicciato i capelli, ho dormito con una bugia e non me ne sono accorta.
In quel momento lui era una menzogna, non era più il ragazzo che io conoscevo, in quel momento io avevo avuto fiducia in lui invece lui era capace di mentire.

Mi sfuggiva, non era più mio ma della sua bugia.

Ho pensato di lasciarlo.
Siamo usciti e abbiamo parlato ed io ero sicura di lasciarlo ma poi ho pensato che sono innamorata e me lo sono ricordata e mi sono ricordata del confine tra bugia e verità e ho deciso che non mi importava che lui fosse così bravo a dirmi le bugie: non è la verità che cerco, evidentemente.
Non è nemmeno il rispetto, forse nemmeno la conoscenza che cerco in lui, in noi.
Non riesco a fidarmi più di lui, ogni volta che racconta qualcosa io so che sta mentendo, lo sento perché vedo la sua faccia e la faccia di quando mi scopava e penso che sono uguali, due facce uguali.
Però io lo amo lo stesso.
Non mi interessa nemmeno sapere se sta mentendo, se se ne sbatte altre mille oltre me: io lo amo ma non c’è una spiegazione per quello che provo.
Ho fissato quest’altra realtà, l’ho incasellata e si chiama “ragazzo bugiardo”.


E poi oggi mia sorella mi dice un’altra cosa – motivo per cui ho deciso finalmente di scrivere.
Mia mamma è entrata in camera di mia sorella piangendo poche sere fa.
Le ha raccontato che mio papà si è inginocchiato a lei piangendo, una mattina, e le ha detto che il lavoro lo stressa, lo sta distruggendo; poi hanno parlato e le ha detto che non la ama più e che non ama nemmeno noi, me e mia sorella. Non prova niente per lei e per noi due.
Mia mamma ha anche raccontato che sono mesi che lei e mio padre vanno da dottori e psicologi per cercare di risolvere questa depressione di mio padre e quello che tra loro non c’è, ma non serve a nulla.
Mio padre non ha mai parlato con me e mie sorella, non sa nemmeno dove siamo andate a scuola, non è mai venuto ad una recita ed ora ha detto che non ci ama e non sente istinto paterno, piangendo lo ha detto.
Non mi ha fatto nessun tipo di effetto, ho solo pensato “Che persone di merda, tutti e due”.
E mi sono chiesta perché se mia mamma è così sola e disperata fruga nei nostri armadi, ci legge i diari e perché l’altro giorno ho trovato in cucina un foglio che era tra le mie agende private, un foglio in cui alle superiori, durante una lezione, avevo raccontato alla mia vicina di banco le cose più intime di me e del mio ragazzo.
Mi sono chiesta che ci facesse in cucina e come ci fosse arrivato da solo dalla mia stanza, dalle mie agende così intime e private, così personali in cui mia mamma fruga senza curarsi di rimettere le cose a posto.
Questi episodi capitano talmente spesso che l’unica cosa che faccio è prendere i vari fogli con i vari cazzi miei e rimetterli a posto in camera, per poi trovare altre cose nella stanza di mia mamma, cose mie, diari aperti di quando andavo alle medie, e vestiti miei che ora mette lei.
L’altro giorno questa cara e povera mamma non credeva che fossi all’università, mentre le avevo detto che esco alle 18 e quindi sono a casa per le 19.
Alle 18.30 mia sorella mi chiama mentre ero sul treno piangendo e dicendo che mia mamma era impazzita, che non credeva che io fossi all’università, che la accusava di essere mia complice e non volerle dire dove ero.
Poi, visto che io e mia sorella ci eravamo accordate per uscire insieme e comprare dei biscotti appena fossi tornata, mia mamma le ha detto di fregarsene di me e andare da sola, e l’ha mandata fuori tanto che quando sono arrivata ho dovuto raggiungere mia sorella al mini market a piedi da sola.
Queste cose non mi riguardano, è una vita che non conosco perché la vita che conosco è quella di quando ero bambina e desideravo tanto avere un cellulare come tutte le mie amiche, e quello era il grande problema della mia vita.
Tutta questa famiglia e questo ragazzo che mi mentono, non mi amano, mi prendono in giro non fanno parte di me, e nemmeno quel professore così coinvolgente che spiega Sant’Agostino.
Meccanicamente piango perché volevo una persona sincera accanto, almeno una diversa da mio padre e mia madre, ma non ce l’ho perché ora il mio ragazzo non ha più etichetta “sincero”.
Meccanicamente mi accorgo che lo amo lo stesso e che anche se è da settimane che non provo nessun desiderio di fare l’amore con lui e che nonostante ciò lo faccio e lo assecondo io voglio continuare ad averlo accanto.
Anche se ora lui si arrabbia molto spesso, anche se ieri sera visto che stavo male come al solito ha preso la sua roba e se n’è andato a casa senza salutarmi.
Mi sono disperata così tanto che non mi disturba quasi più che mia mamma frughi nella mia roba e mi butti le lettere delle amiche e del mio ragazzo, nemmeno mi fa diventare matta il fatto che mi abbia nascosto l’agenda del periodo anoressia-ricovero che mi piacerebbe rileggere in questo momento, per sapere chi ero a 47 kg e cosa pensavo, no, non importa.
Tutto questo mi lascia impassibile anche se probabilmente non è così, visto che ho ripreso ad abbuffarmi dopo essere finalmente arrivata a 66.
Mi abbuffo di continuo ma non importa, non piango, non soffro, non capisco, non realizzo che i miei vogliono divorziare ma non lo fanno, non mi rende triste il fatto che mio papà abbia detto che non ama più nessuno, non prova istinto paterno, solo mi fa venire una gran voglia di mangiare.

E lo faccio.
E quel ragazzo di cui vi parlavo, che ora è ragazzo bugiardo, lunedì vuole portarmi in un centro per disturbi alimentari che è gestito dal mio prete, e dove abbiamo prenotato perché lui non mi aveva detto che era gestito dal mio prete, altrimenti non ci sarei mai andata perché gli avevo esplicitamente detto che non volevo avere a che fare con il mio prete anche se fa lo psicologo. Ma lui non me lo ha detto, l’ho scoperto da sola, ma in fondo lui adesso è “ragazzo bugiardo” e deve comportarsi di conseguenza perché nel mondo funziona così, si è quel che si fa, ed io in quel centro ci vado perché abbiamo preso un appuntamento e perché voglio dimagrire.
Non mi preoccupa nemmeno il fatto che lui mi ci voglia portare perché è stufo di me che mi abbuffo e gli do problemi, mentre il suo unico problema è dirmi bugie e scappare via quando io sto male.
Tutto il resto mi lascia indifferente: questo trovo sia particolarmente tragico.

giovedì 24 settembre 2015

La noia.

Ho appena finito di leggere un altro libro, "La noia", di Moravia.
Ho pensato che dovrei smettere di leggere, perché sto male.
Di un male molto profondo e molto fisico, ho voglia di piangere e gridare; così scrivo.
Questa mattina ero 66,5, sto continuando lentamente a scendere.
Mi sono pesata, subito, per lenire il dolore dovuto a tutt'altro, lontano dai numeri, e non è bastato.
Nemmeno il numero che scende mi appaga: forse dovrei scendere più velocemente.

Ci sono giorni in cui sento che non c'è fretta, che devo vivere, come dicevo a Kiki; altri in cui, come oggi, desidero sparire con tutte le mie forze.
Non già per un desiderio vero e proprio di essere MAGRA, ma più per quello di tenere la mia mente impegnata, illuderla di poter veramente possedere qualcosa, senza ingrassare (ergo, non abbuffandomi).

Il libro parla di un pittore fallito che soffre della noia, che lui definisce come una mancanza di rapporti con le cose.
Lui, infatti, non riesce ad intrattenere rapporti con niente e nessuno: non possiede la realtà così come non possiede la protagonista del libro, Cecilia, se non fisicamente; lei gli sfugge in quello che è, e così lui si accanisce sul rapporto sessuale con lei illudendosi di possederla ma consapevole di non farlo; alla fine tenta un suicidio che non può che rivelarsi "mancato".
Questo libro mi ha fatto molto male, e non capisco perché.
O meglio, non capisco se io stia male per il contenuto del libro in sé, per l'incapacità di vivere del protagonista, la sua incapacità di dipingere; oppure per il libro stesso, o, per essere ancora più precisa, per Moravia che lo ha scritto mentre il mio sogno è scrivere ma io non so farlo.

In breve, sto male perché il libro rispecchia ciò che sento (che originale sono, è sempre così guarda caso, va' a vedere che non sento niente!), ma io ne sono la protagonista
e non l'autrice.

Non so se mi spiego.
Non so esprimere ciò che sono, ma qualcun altro sì, e descrive me, quindi sto male.


Lunedì iniziano i corsi e, per distrarmi da tutti questi pensieri scomodi, sono andata a controllare gli orari: con grande sorpresa e piacere ho scoperto che andrò in università
lunedì martedì e mercoledì: dalle 8 alle 12 e dalle 16 alle 18 (ovviamente nello stesso giorno)
E giovedì, venerdì e SABATO dalle 10 alle 14.

Andrò in università il sabato, ma non è stato questo a sconvolgermi in positivo: guardate gli orari.
Ho una pausa di quattro ore durante la quale dovrei pranzare ma non posso andare a casa... credo che mangerò una mela tutti i giorni.

Non ho potuto fare a meno di pensarlo, mi sento vuota, mi sento male, mi sento sola, mi sento distrutta ed alterno questi stati d'animo alla gioia compulsiva ed all'euforia.
Così subito penso: devo dimagrire. Ma tanto, e non voglio mangiare più.
Mi sto disintegrando, non riesco più a sopportare tutti questi pensieri, cerco di soffocarli, di indirizzarli al mio corpo e più vedo il numero che scende, meno mi sento soddisfatta.

L'altro giorno mi hanno chiesto che università avessi scelto ed io ho detto senza nemmeno pensarci "Ingegneria chimica".
L'ho detto forse perché la mia compagna magra delle medie farà quello, o più probabilmente perché sono stanca di chi mi guarda storto e mi dice "Eh beh, filosofia. Farai la mantenuta, vero? O l'insegnante.. ma quanti insegnanti ci sono, è difficile!"
L'ho detto perché io nella mia vita voglio scrivere, ma non sono capace. né a confessarlo né a farlo.
Qual è il mio sogno? Cosa voglio fare da grande?
Scrivere, dannazione, scrivere, va bene? Ma esistono mille come me e tutto ciò che penso è già scritto, e tutti vogliono scrivere nel mondo, dovunque io mi giri trovo persone che vogliono scrivere, una mia compagna di liceo addirittura ha pubblicato un libro, perché io dovrei scrivere?
Voglio essere disperatamente diversa, invece sono uguale a tutti gli altri.
Voglio laurearmi in filosofia, voglio studiare filosofia, voglio sapere tutto, voglio pensare, voglio andare fuori di testa, voglio trovare un contatto con gli altri, voglio comunicare, non ne posso più di questo silenzio dentro e fuori, dei luoghi comuni, delle frasi fatte, delle conversazioni finte che ho su cose che non mi riguardano!

E mi sto problematicamente allontanando anche dal cibo, ci penso spesso ma se lo faccio è per non pensare ad altro, non so nemmeno che cosa, e lo faccio consapevolmente.
Improvvisamente voglio fare tutto per non pensare: abbuffarmi per non pensare, scrivere per non pensare, scendere di peso per non pensare, salire sulla bilancia fredda tutte le mattine per non pensare, stare con il mio ragazzo per non pensare, fare l'amore per non pensare!

E tutto quello che ottengo sono nuovi pensieri su quello che faccio per non pensare, tutto quello che mangio e non mangio per non pensare, tutto quello che gli altri mi dicono e che mi fa pensare e che non dovrei pensare..

Scusate ragazze non so più dove sbattere la testa, vi prometto che tornerò a scrivere di cibo e del mio rapporto con lui.
Ho bisogno di farlo perché non voglio che diventi secondario alla mia voglia di suicidarmi per non pensare più.

A volte ho persino pensato che se nella mia vita non riuscirò a diventare una scrittrice, mi suiciderò.
Ho la testa troppo piena che se non metto le cose nero su bianco esplodo.
Ed intanto mi viene il vomito quando sento i miei genitori che dicono "Eh Cecilietta bella, con filosofia... scrivi un libro! Un bel libro, un libro bello, fai un po' di soldi e vedi come ti metti a posto!"
Il vomito.

Vorrei scrivere in un altro mondo, un mondo in cui il contatto con la materia e gli altri pensieri non esiste, in un mondo in cui io mi siedo davanti a Moravia e gli dico:

"Senti, parlami di te. Anche tu non riesci a comunicare con nessuno perché tutti riducono quello che dici ad una cosa che hai detto, e ignorano le mille altre cose che quella tua parola sottintende e nasconde?"

giovedì 17 settembre 2015

Alimentare un disturbo e straniamento.

Premetto che ho letto tutti i vostri commenti e li ho applicati: ho parlato con la Responsabile, le ho detto tutto ed anche che l'anno prossimo lascerò se le cose si mettono così, se non posso rimanere con i miei ragazzi, ma non è servito a nulla.
Così svolgerò questo nuovo compito e poi, probabilmente, lascerò.

Ma adesso non è di questo che volevo parlarvi.
Ho letto tutti i vostri blog commentando qui e là, in uno stato di inettitudine spaventoso.
Ho saputo che i corsi iniziano il 28 settembre ed io, nel frattempo, avrei potuto fare un sacco di cose: andare a correre, mangiare cibo sano, dimagrire, ed arrivare a quel giorno con molti kg in meno e molti pensieri (?) in meno.

Invece... invece mi sono abbuffata quasi sempre per smettere finalmente la settimana scorsa, mettendomi in riga ma senza toccare né cyclette, né scarpe da ginnastica.
Solo lunghe passeggiate e preparativi per il compleanno del mio ragazzo, che è stato ieri.
Ho il rifiuto, una specie di nausea e stanchezza quando guardo la cyclette.
Sapete, non è facile vedere sulla bilancia 67.5 dopo aver trascorso un anno tra abbuffate e cyclette.
Odio le abbuffate, odio la cyclette.

Invece dovrei muovermi, correre, correre, camminare, pedalare.
Sapete cosa faccio?
Leggo.
Da agosto ho letto quattro libri, persino Sei personaggi in cerca d'autore, così, perché mi incuriosiva, e per farlo sapete cosa mi è venuto in mente?
Ho pescato dallo scatolone del capitolo "Liceo" il libro di letteratura e mi sono studiata Pirandello, perché ho pensato che non avrebbe avuto senso leggere quel libro senza avere prima rinfrescato la memoria.
Finito Pirandello, finiti i libri, non sapevo più cosa fare.
Allora, per alimentare la mia assoluta svogliatezza nei confronti delle scarpe da ginnastica, ho sfogliato il libro ed ho iniziato a studiare Alberto Moravia.
Non l'abbiamo trattato nel programma ma sul libro c'era.
Ho iniziato a leggere biografia, clima culturale, estratti di libri e sono andata in libreria a comprare "Gli indifferenti" e "La noia".

Tra tutto ciò la sorpresa più bella me l'ha fatta il mio ragazzo, dicendomi che "Leggi sempre libri tristi e dello stesso genere. La tua tristezza mi CONTAGIA."
è stato il massimo, perché a me il suo ottimismo non contagia affatto: che abbia una repressa vena pessimista che io porto a galla con le mie letture tristi?

Inutile spiegare che i miei libri non sono tristi, che io sono solo una sconclusionata che ne vuole sapere di più ma continua a girare attorno a cose che già sa.

Non voglio vivere nei miei libri ma lentamente sta accadendo.
Ho ultimamente capito che devo adattarmi, e nel libro che sto leggendo ne ho trovato la conferma.

"La perdita di contatto con la vita.
Dal momento che il mondo non sembra poter mutare, dal momento che l'esistenza, prima ancora del personaggio, replica sempre i modi uniformi della sua miseria, secondo un ritmo incorreggibile, dal momento che la società in cui si vive appare tanto salda da potersi considerare immodificabile ancora nella propria struttura come nella propria sostanza morale, non rimane altra alternativa che questa:
o preservare, da puri spettatori, sdegnosamente ma inattivamente, la propria fittizia innocenza, e salvare la coscienza etica sopra la povera scialuppa di una vera impotenza di fatto,
oppure approdare, oltre ogni vano sforzo di resistenza, a un normale adattamento, senza inutili clamori e senza inutile disperazione, stipulando il proprio contratto sociale, rivestendo la propria naturale maschera, al fine di essere una persona viva, come tutti gli altri, né meglio né peggio, in ultima analisi."


"se qualcosa resta in Michele di non impuro è proprio quella sua resistenza, astratta quanto ostinata, nel suo bovarismo, la sua sterile inibizione, rigorosamente traumatica, ad ogni adattamento: il suo vizio è una sola cosa con la sua virtù, con l'impotenza della sua indifferenza, che gli impedisce di ingannarsi così a fondo e così volgarmente come gli altri.
[...] qui Michele scopre una semplice verità, che se mai egli riuscisse a superare la propria indifferenza, cedendo al giuoco e alle lusinghe delle disponibili passioni falsificate,
credendo di credere,
volendo volere,
egli approderebbe sì, infine, alle spiagge della vita, ma di quella sola vitalità ormai sperimentabile che è la vitalità grottescamente irrigidita e automatica del fantoccio "stupido e roseo".
Se Michele rinunziasse alla sua inutile nostalgia, se cedesse alla illusione di un'autenticità socialmente bene adattata, se trasformasse il suo bovarismo in azione vera, la sua impotenza in buona volontà, Michele sarebbe semplicemente un Leo.
Partecipare alla concretezza del presente, del corrotto presente, guarire dai propri traumi di inibizione vitale, è possibile ormai soltanto a prezzo della propria corruzione: e reciprocamente, è possibile sottrarsi alla decadenza dell'esistere a patto di rifiutarsi, direttamente, alla vita.
E Michele, figura della nostalgia, è necessariamente, come si avvertiva, figura dell'impotenza.
Il suo essere indifferente è la ultima, miserabile forma di nobiltà etica che è concesso ritrovare all'interno di una classe che non ha più speranze di redenzione: è la nobiltà negativa dell'impartecipazione."

"Anzi, si può affermare che la rivolta di Michele è proprio per questo, nel mondo moraviano, una rivolta autentica: perché rimane nel limbo delle intenzioni e dei sentimenti, perché non precipita nella fatale distorsione pratica, che non si accontenterebbe davvero di spegnerla, ma la corromperebbe e la convertirebbe nel suo contrario."

So che questo post è pesante e noioso, so che dovrei lasciare andare questi pensieri non miei, so che dovrei smetterla di osservare le persone vivere e provare disgusto per qualsiasi discorso, so che dovrei smetterla di alternare il disperato bisogno di scappare e di pensare a quello ancor più disperato di adattarmi ed essere parte di quei discorsi.
Il cibo è l'unica cosa che mi tiene ancorata al terreno, insieme al mio ragazzo, per ora.

Ho perso la capacità di comunicare, ogni mio gesto mi appare meccanico e sfacciatamente falso.
Non capisco più chi sono, non riesco a capire se devo smettere di leggere, smettere di cercare quello che ho dentro fuori da me, smettere di trovarlo.

L'altro giorno mentre leggevo un pezzo de "La noia" mi sono messa a piangere. Ho provato un intenso desiderio di non essere, di uscire dal mondo, di non pensare più, di comunicare invece non riesco più a capire come facciano gli altri a vivere.
Io sento una pesantezza, non so più descrivere niente.
Scavo dentro di me per trovare faccende e discorsi "per terra", ed a volte ci riesco.
Non mi sento superiore, non mi sento più intelligente, mi sento solo stanca.
Eppure continuo a leggere leggere leggere, pensare sempre pensare, e penso a come è riuscito bene ieri sera il compleanno del mio ragazzo con il sushi e i cappellini stupidi con mia sorella ed il suo ragazzo, ma non basta, sento qualcosa, qualcosa dentro di profondamente distante da tutto questo.

Ho abbandonato il diario alimentare perché mi faceva stare male, e quando mi sento in questo modo terribile, fuori dal mondo, mi abbuffo per ritrovare il contatto con la realtà e ricordarmi chi sono e cosa faccio.

Ho un disturbo alimentare,
ed alimento il mio disturbo.

Ora dimagrire mi si presenta come un invitante obiettivo che non riesco a perseguire ma mi tiene impegnata, almeno un po'.

Non riesco a spiegare come mi sento, ma sento che la mia vita è riflettere.
Ho cliccato sul sito dell'università oggi ed ho letto per curiosità "Perché studiare filosofia?"
e tra tutto usciva la lista dei mestieri possibili (tre, se vi interessa) e tra questi c'era scritto
"Organizzatori di fiere, esposizioni ed eventi culturali
Organizzatori di convegni e ricevimenti"

cose nel mondo.
Saprò mai fare qualcosa nel mondo, io?
I miei pensieri nel mondo sono tutti i miei post, tutti i vostri, quelli in cui mi rivedo meravigliosamente e spaventosamente.
Ma poi ci sono questi pensieri.
Elaboro pensieri quando mi passa a prendere un amico per andare da qualche parte, quando mia madre si lava i capelli, quando preparo il compleanno al mio ragazzo.
Penso penso penso in continuazione e non ce la faccio più.
Penso alle sensazioni che provano gli altri, al bisogno di comunicare che ho ed all'incomprensione ancora più profonda in cui sono immersa.

Incomprensione non come equivoco. Come impossibilità di dare una senso a ciò che cerco di spiegare.
Ma spiegarsi sta diventando inutile ed io non so come voglio diventare. Vorrei non diventare, oppure aver scelto una facoltà come architettura, o medicina, o biologia.
Una facoltà seria che mi possa tenere con i piedi per terra.
Invece ho scelto una facoltà che mi farà diventare pazza, me lo sento.

Sono troppo incline a creare situazioni immaginarie e sogni di ribellioni vane, e dialoghi impossibili.
Sto impazzendo.
Voglio solo adattarmi.

Solo dimagrire e tornare a pensare a domani sera che ordino la pizza per undici persone, faccio un'altra sorpresa al mio fidanzato.
Non penso che la vita sia una cosa mediocre, non più dei miei pensieri fastidiosi e continui.
Penso che la vita sia una cosa molto pesante, e penso che questo mio pensare faccia parte della vita.
Sono nella vita, non sono una creatura astratta o fatta di etere, come qualcuno mi diceva.
Sono nata, viva, penso perché qualche meccanismo nel mio cervello complesso mi permette di farlo.

E questo mi fa molto soffrire.

Magari qualcuna di voi avrà colto qualcosa.
Un abbraccio.

mercoledì 9 settembre 2015

Crediamo d'intenderci, ma non ci intendiamo mai.


Faccio l’educatrice all’oratorio.
Da cinque anni, insieme ad altri cinque ragazzi, faccio l’educatrice in particolare di bambini che fanno prima media.
Li ho conosciuti che facevano terza elementare e che io ero magra, ed ho legato tanto con loro, con loro ho vissuto il campo estivo che vi raccontavo l’anno scorso, con loro ho costruito una delle poche cose belle della mia vita.
Oggi pomeriggio, dopo essere svogliatamente uscita con una mia compagna delle scuole medie, sono passata nel mio oratorio perché la responsabile dell’oratorio dove presto il mio servizio di volontariato mi doveva parlare.
Mi aspettavo tutto, mi aspettavo critiche, rimproveri, le solite cose, ma non mi aspettavo quello che mi ha detto.
Premetto che i bambini sono divisi in classi e, nel mio gruppo di animatori di prima media, c’è una ragazza in gamba che più volte la Responsabile ha tentato invano di spostare in gruppi che avessero più bisogno ma senza risultati, perché lei vi si opponeva con tutte le forze.


“Cecilia,” sono state subito le sue parole: “ho pensato di spostarti con i bambini di terza elementare. C’è tanto bisogno lì.”
Mi si è fermato il cuore.
Mentre mi spiegava alcune cose che non ho ascoltato il mondo girava velocemente ed io ho solamente pensato due cose:
!) "Avrebbe dovuto spostare Paola, non me, era lei con cui insisteva sempre ma che rifiutava da anni”
e
2) “mi devo abbuffare. Adesso.”

Forse questo secondo pensiero è stato quello che mi ha impedito di dire: “No, scusami tanto, avevi pensato a Paola per la terza elementare, perché devi separarmi dai miei bambini di prima media? Perché soltanto a causa del mio essere così debole, remissiva, obbediente e inetta devi farmi questo? Tu volevi spostare Paola: perché lo hai fatto? Io resto dove sono, con i miei ragazzi, i miei ragazzi, devo ancora fare tanto con loro…”.
Infatti, invece, un “Ok perfetto, va benissimo” che ho pronunciato distrattamente è stato sufficiente a farmi essere fuori di lì in meno di cinque minuti.

Un quarto d’ora ed ero a casa, in lacrime.

È arrivato il mio ragazzo a salutarmi ed io come una scema ho pianto anche di fronte a lui per questa immensa cazzata, lui che come sempre ha difeso la responsabile dicendo, giustamente – e forse questo, la consapevolezza che avesse ragione, mi ha ancor più distrutta – che io presto un servizio gratuito, lì, e non sono lì per amichevolizzare con dei ragazzini ma per aiutarli, fornirgli una valida alternativa a ciò che nella società viene offerto loro; non è servito a nulla nemmeno presentargli la mia ipotesi che avesse spostato me perché sono la più arrendevole, la più debole, quella che non dice ciò che pensa, che non si ribella, perché lui mi ha interrotta subito dicendo che erano sciocchezze, che io in quel momento ero in servizio, che semplicemente volevano contare maggiormente su di me perché di me si fidavano.
c'era bisogno in terza elementare? Hanno mandato me, punto. Sono una volontaria, punto.

Io l’ho sempre detto che il mio ragazzo è dolce ed intelligente, sempre così giusto, ragiona molto, non accusa mai nessuno se non chi ha effettivamente torto insomma, un vero paladino della giustizia.
Ma io, vedete, ho avuto scioccamente bisogno di qualcuno che mi dicesse “Si cazzo, hai ragione, che manica di stronzi!” e che accogliesse il mio sfogo.
Infatti, sapendo che il mio ragazzo avesse pienamente ragione e che il mio fosse solo un ingiusto capriccio, l’ho fatto dolcemente tornare a casa dove lo aspettavano (non l’ho mandato via, semplicemente non l’ho trattenuto), e con il sorriso gli ho detto “Grazie di esistere, mi tranquillizzi sempre così tanto!”
sono entrata in casa, ho aperto gelato, patatine, uova, zucchero, farina per fare uno zabaione veloce ed ho mangiato tutto.
Insomma mi sono chiusa in me stessa consapevole di
-avere torto
-non sapere cosa fare che escludesse il lamentarmi
-volermi assolutamente dedicare a qualcosa d’altro.
Ho deciso così di sedermi e, per una volta, analizzare una mia abbuffata.
È così semplice, così sciocco, così … banale!

Io sono lì a prestare un servizio, di certo nessuno ha pensato “c’è bisogno, Paola non possiamo spostarla perché ci sputa in faccia, spostiamo cecilia che tanto dice sempre si perché non ha polso!”
E sicuramente vedermi aumentare di peso non indurrà in nessuno il sospetto che “forse nessuno le sta accanto tranne il cibo… non forziamola!”
Quello che mi fa più male delle mie abbuffate è che è una semplicissima opera di vittimismo.
Puro vittimismo. È ovvio, mi sembra, che nessuno verrà mai a dirmi “Stellina, ti abbuffi, fatti abbracciare!, non ti spostiamo da nessuna parte, rimani con i tuoi ragazzi!” se per prima non lo chiederò io; dunque, visto che io non lo farò, è tutta una questione di sentirsi vittima.

Come rimediare?
Eppure, essendomi abbuffata ora, mi sento bene. Sono grassa, la bilancia segna 68.5, però ora sto bene. Penso in continuazione a mangiare mangiare mangiare, niente può farmi male, nemmeno il mio vittimismo.
Mi lamento, mi abbuffo eppure sto bene.
Ma non lo dico, stranamente, per sentirmi dire “non stai affatto bene, se sei qui a scrivere”, perché questo già lo so (anche se, lo ammetto, quando qualcuno mi dice che “sicuramente sto male”, quando anche io me lo dico, è un grande orgasmo, chissà perché); lo dico perché ora come ora non riesco a capire per quale altro motivo, se non per dimagrire, io dovrei voler smettere di abbuffarmi.


Boh questo post non è commentabile ma lo scrivo.

 
Non so più comunicare.
 
 
 
 
 

martedì 18 agosto 2015

La morte.


Questa mattina, alle sette, è morto un mio compagno delle scuole medie.
Incidente d’auto, 20 anni.
È morto di mattina presto, e mi è arrivata la notizia mentre ero al mare, dove non potevo scrivere niente. Ho avuto voglia di scrivere immediatamente, avevo così tante cose da dire, così tanti pensieri, tanto dolore..
Ho pensato subito ad un messaggio che mi ha mandato ieri una mia amica di penna, che vive qui ma che di persona ho conosciuto solo una volta, tantissimi anni fa.
Mi ha scritto un messaggio chiedendomi “Di che colore è, secondo te, la morte?” a cui io ho risposto che non lo sapevo, non ci avevo mai pensato.
Mi ha raccontato che, proprio ieri, è morta la mamma della sua migliore amica.
Così, quando oggi è morto il mio compagno delle scuole medie, sebbene io e lui non ci sopportassimo quasi per niente, sebbene avessimo soltanto suonato il violoncello insieme in qualche teatro, mi sono chiesta anche io di che colore potesse essere la morte.
Questi episodi di morte fanno posare il mio pensiero su un libro che ho letto tantissimi anni fa, “Cioccolata per due”, uno di quei romanzetti da spiaggia, che però mi ha colpita nel profondo.
Parla di una ragazza, una trentenne sposata da appena cinque anni con un ragazzo altrettanto giovane, morto improvvisamente una mattina.
Malattia, incidente, non ricordo; ricordo solo le sue sensazioni.
Lei raccontava che, il giorno del funerale, una baraonda di persone addolorate avevano riempito casa sua: persone disperate, persone che piangevano e la abbracciavano  e che lei, impassibile, non riusciva proprio a capire.
Cucinava, lavava, stirava, portava da mangiare alle persone che stavano nel suo soggiorno e continuavano a piangere, a porgerle condoglianze, ad emettere versi strazianti e straziati, ma non sentiva niente se non un’impazienza implacabile: quando sarebbe tornato suo marito? Era un sacco di tempo che era via, senza essersi fatto sentire, e nel suo soggiorno c’era quella gente a cui lei doveva dare conforto, a cui lei serviva da mangiare e a cui lei prometteva un sacco di cose che loro volevano sentirsi dire, del tipo “stai bene, mi raccomando” o “tira avanti” o ancora “Lui avrebbe voluto vederti felice”.
Lei non le capiva, quelle raccomandazioni.
Successe, raccontava lei nel libro, mesi, mesi e mesi dopo.
Successe che lo chiamava al cellulare, e lui non rispondeva. Successe che le scarpe che lui metteva sempre per andare al lavoro erano nello stesso angolo da mesi e si stavano impolverando; successe che nel letto, quando la notte si girava, lui non le era accanto.
Successe che lo chiamava in casa, distrattamente, in certi giorni, ma lui non rispondeva.
I suoi vestiti erano immacolati nell’armadio, il suo spazzolino nel bicchiere sul lavabo.
Ma nessuno usava più niente.
E, raccontava lei, nel momento in cui succedeva questo, usciva per la strada: la prendeva allora da dentro una tristezza folle, un dolore al cuore, allo stomaco, qualcosa che spingeva le lacrime e lei si ritrovava a piangere e a desiderare che qualcuno piangesse con lei, adesso, come tutti avevano pianto quel giorno in casa sua.. ma erano questi i momenti in cui si accorgeva con disperazione che il mondo era tornato a girare.
Che ADESSO, dopo mesi, quando lei si era accorta veramente che lui non c’era più, adesso, non c’erano più nemmeno gli altri, quelli che prima si disperavano.
Dove erano tutti?
Dove erano tutti adesso, quando il mondo si era fermato per lei, quando le cose avevano perso colore, forma, profumo, senso?
Avrebbe voluto abbracciare qualcuno ADESSO, ma ormai la quotidianità aveva assorbito anche quelle poche facce addolorate di tanti mesi prima.
Penso spesso a questo libro, quando muore qualcuno. Penso che a tutti dispiace, ma tra qualche mese a me, a voi, ai signori per strada non importerà semplicemente più nulla del mio compagno delle medie che è morto questa mattina, semplicemente perché è giusto così. I suoi genitori, invece, tra tanti mesi si continueranno a svegliarsi nel dolore perché nella sua stanza non ci sarà più nessuno, mentre io che oggi piango, la mia vecchia classe che si organizza in lacrime per partecipare al funerale, i miei zii e tutti i parenti che si commuovono perché era un ragazzo tanto giovane, non soffriremo più. Forse nemmeno ce lo ricorderemo.
Per questo penso a quello che succederà dopo, e soprattutto penso (mio malgrado) a cosa farei se dovesse capitare al mio ragazzo.
Io penso che tutti, tutti possiamo vivere senza qualcuno.
Solo diventa atroce farlo quando questo qualcuno muore. Perché, per quanto tu possa andare avanti senza di lui, vorresti comunque che continuasse ad esistere, da qualche parte, nel mondo.
Ecco perché io, anche se con il mio compagno delle scuole medie non ho più nessun tipo di rapporto, desidererei tanto che lui esistesse ancora, da qualche parte, nel mondo.



martedì 11 agosto 2015

Vietati commenti incoraggianti.

Situazione:
in Campania, con tutti i parenti ed il mio ragazzo.
Compleanno di mia mamma, pranzo: antipasti di mozzarella, patate, acciughe e provola in porzioni ridotte, lasagna in grande porzione, arrosto, insalata,
dolce, dolci dolci dolci.
La nostra Sybil, ovviamente, non ha assolutamente pensato di saltare qualche portata: sebbene i sensi di colpa la stessero divorando come mostri, lei ha perseverato in quello che sapeva essere solo il principio di qualcosa che sarebbe poi esploso tutto insieme, di colpo.

L'abbuffata.

No, ragazze, non preoccupatevi, niente pianti; andava avanti così da giorni. Da Parigi, quando ho mangiato le schifezze così allegramente prendendo tre chili (arrivando a 67 chili), non ho smesso un attimo di strafogarmi.
O meglio, se per voi mangiare yogurt e frutta a colazione, crackers e tonno al naturale a pranzo e poi sfondarsi di cibo (biscotti, brioches, latte e biscotti, panino melanzane e formaggino, savoiardi e poi cenare) è un'interruzione allora sì, può darsi che la cosa non sia avvenuta ininterrottamente.

Piacerebbe un sacco anche a me.

Mi sembrava passata una vita dall'ultima volta che mi ero sfondata di santa ragione. Ho voglia di abbuffarmi da quando mi sveglio la mattina a quando vado a dormire, periodo durante il quale sogno e fantastico sui digiuni che non farò e sulle tette piatte che non avrò.
O meglio, che penso bene di conquistarmi con l'abbuffata successiva.
Ebbene, tra otto giorni in teoria dovrei raggiungere amici in Sicilia, dove ci sarà anche la ragazza magrissima che mi palpava le tette sfottendomi perché ero ingrassata (lei prima aveva una sesta, quindi giustamente sono un ottimo bersaglio su cui sfogare le sue frustrazioni del passato), infatti in pratica credo proprio che non andrò.
Questo "appuntamento" mi sta mandando piuttosto in crisi, mi sta facendo mangiare come una fogna.

Vedete, ecco servito il capro espiatorio per potermi dare un alibi.

E, ovviamente, ogni giorno dopo essermi sfondata mi alzo, metto il costume e mi umilio pubblicamente al mare, sotto gli occhi viscidi dei vecchi che mirano le mie tette e quelli dolci ma ciechi del mio ragazzo che, ovviamente, è entusiasta del mio seno.

Ma non importa, non starò qui a dirvi quando io mi strugga per il seno che ho, non vi ripeterò quanto io vorrei uno, UN reggiseno carino soltanto, diverso da quelli bianchi e pendenti da nonna che mi ha regalato - guarda caso - proprio mia nonna, non starò qui a sentirvi dire che chiunque lo vorrebbe come me e bla bla bla.
Conosco un'amica che vorrebbe il culo grosso.
Io credo che se ce lo avesse sarebbe già a dieta.
Anche io preferirei il culo grosso. C'è chi se lo rifà.
Voi che dite?

Non importa.

Qui è tutto uno schifo, qui dentro, dentro di me.

"Raramente il cielo fa nascere insieme l'uomo che vuole
e l'uomo che può"

disse probabilmente qualcuno di molto simile a me; ed io, io, non posso.

Durante questa vacanza mi sono accorta molto tristemente che non riesco più a restringere, non riesco più a digiunare come facevo anche solo l'anno scorso: sembra che il mio corpo mi chieda cibo, sempre più cibo, e schifo, sempre più schifo, della serie come cazzo è possibile se peso venti chili più di tre anni fa, quando mangiavo la metà (ovviamente, dato che non mi abbuffavo ed ora mi abbuffo tutti i giorni).

Sono DISPERATA. Mangiare sano non mi fa dimagrire. Mangiare poco funziona per due giorni, e non mi fa dimagrire perché poi mi abbuffo.
Non mangiare funzionerebbe due ore, credo.
Non esistono più quei digiuni, quelle ore di pedalate, quei chili che se ne andavano, quella inconsapevolezza di cosa fosse un'abbuffata, quando, come a volte mi dice Kiki, anche io dicevo "se potessi mi abbufferei, ma poi non lo faccio perché razionalizzo!".
Come sono lontani quei tempi, e quante cose non sapevo.. non credevo si potesse mangiare così, così tanto, e non credevo che nessuno avrebbe capito, io ho sempre sperato che qualcuno invece ci sarebbe stato, come me, nel mio mondo. Invece tutti dicono di capire e le loro voci si confondono, si mescolano tutte insieme ma.. più passa il tempo più mi accorgo di essere sola, lentamente, di andare sempre più a fondo, verso l'incomprensione e a volte mi dico che se continuo così io non ci tornerò più, in superficie.

Più parlo con le persone a cui voglio bene più stanno guarendo ed io sono immensamente felice quanto immensamente sola; so che suona stupido ma a me piaceva parlare con persone che si abbuffa(va)no, percepivo tanta solidarietà, invece piano piano il binge sembra fortunatamente essere snobbato molto tranquillamente (da tutti, meno che da me. Ave, binge.). Adoro ricevere messaggi con su scritto che "ho deciso che la mia vita vale di più"
"non ho più il desiderio di magrezza di prima o, se ce l'ho, è per qualche secondo", "non mi abbuffo più", mi danno speranza, ma mi ricordano che mentre gli altri salgono, io scendo.

E arriverà un giorno in cui sarò così sotto, così nel profondo se non mi decido a fare qualcosa che non solo nessuno riuscirà più a vedermi, ma tutti mi calpesteranno.
Eppure continuo a mangiare, a divorare cose e non sento sazietà, non sento dolore alla pancia, non sto male, solo devo mangiare mangiare e mangiare perché sono stufa di fare sacrifici, mangiare sano, mangiare TROPPO e non vedere risultati se non chili in più; l'anno scorso in questo periodo ero 58 chili, e allora perché ora ne peso 67?
Cosa è successo?

Perché io non riesco a controllarmi, perché devo mangiare così tanto, e perché non riesco anche io a mangiare due pomodori con un cazzo di pezzetto di carne e convincermi che è tanto e che mangio tanto e che sono brava perché mangio tanto?
Perché io ho bisogno di strafogarmi?

Ovviamente in costume sono inguardabile. E mi chiedo come sia possibile passare da 47 chili a 67, mi chiedo come mai, mi chiedo chi, perché, mi chiedo DOVE?

Il bello, ragazze, è stato che a metà di questo fantomatico pranzo di compleanno erano tutti strapieni, mentre io.. ragazze, io! Io avrei sinceramente mangiato la teglia intera di lasagne e tutto l'arrosto, ma non ho potuto, ahimè, così  subito dopo ho finito il pacco intero di wafer al limone che aveva comprato il mio ragazzo e il pacco di cereali che mi ero comprata a colazione, una brioches, un dolce fatto da mia nonna e poi ho continuato fino a cena, in cui ho mangiato due freselle con olio e pomodoro, pane duro perché era finito ma io lo volevo, il pollo avanzato che nessuno voleva (sono anche una martire! Mi sacrifico per gli altri!) e tre fette di torta con la panna che odio, ma dovevo assolutamente mangiare.
Non una, ma ben tre!

IL problema più vero e profondo di tutto ciò è che domani è mercoledì, e quando ricomincio, secondo voi? Non c'è assolutamente motivo per ricominciare a metà settimana, come faccio?
E domani, come mi metto in costume?
Qual è il mio problema più grave?

Ho voglia di farmi un bel taglio con la lametta nuova nuova che ho comprato per i peli, ho voglia di farmelo sul braccio.
E non importa se andrò al mare. Le mie tette distoglieranno l'attenzione.
E spero vivamente di riuscire a morire, perché di uccidermi non ho voglia, come dice Sartre bisognerebbe compiere un gesto e creare dell'esistenza, creare le reazioni degli altri, lacrime di troppo, sangue di troppo.. vorrei semplicemente morire così, da un giorno all'altro.

Oppure dimagrire.
Stavo pensando di fare un voto, voi che dite?
Se Padre Pio mi fa perdere 20 chili gli organizzo una festa all'anno a casa mia, e siete tutte invitate, voi che dite?
Mia madre mi ha raccontato che un suo amico di gioventù lo ha fatto, non per dimagrire ma per una cosa meno importante tipo un tumore o cose così, Padre Pio lo ha esaudito ed ora lui gli organizza la festa.

Caro Padre Pio, se mi fai smettere di abbuffarmi e mi fai perdere 20 chili entro settembre io ti organizzo una festa all'anno, tutta per te.