venerdì 20 novembre 2015

Capisco come, ma non capisco PERCHE'.

Ciao ragazze.
Vi prometto che tornerò a commentarvi tutte, appena farò ordine nella mia testa un momento.
Io sono quella dei propositi, no?
Mi avete lasciato dei commenti bellissimi, ed io voglio dedicare ad ognuno l'attenzione che si merita, almeno un po'. Siete meravigliose.
Sinceramente non speravo che qualcuno avrebbe commentato, invece siete sempre presenti e questo è l'unico posto in cui sento di poter parlare.

La situazione sta diventando insostenibile ed io credo di non poter fare niente se non scrivere. Non so se lo faccio per chiedervi un parere, per sapere cosa voi ne pensiate, oppure semplicemente per egocentrismo.
Per prima cosa, la dottoressa ha disdetto l'incontro (per chi non lo sapesse, avevo finalmente preso appuntamento in un centro per disturbi alimentari): sembra destino.
Doveva partire urgentemente per problemi di famiglia, ha detto che si farà risentire.

Intanto io a casa mia sento un odio stratosferico nei miei confronti che sta sospeso tra me e quelli che chiamo i miei genitori.
Non so più chi siano.
Ieri poi è successa una cosa che non succedeva da tempo: ho pianto tantissimo.
Non che io non pianga, certo, ho pianto anche recentemente come vi dicevo nello scorso post; però questa volta ho pianto per i miei genitori.
Perché ho sentito da parte loro con violenza un odio profondo nei miei confronti, e non ho capito niente.

In questi ultimi tempi sto provando a comportarmi bene con loro: l'altra sera mia mamma aveva mal di schiena ed io le ho fatto un massaggio, provo a raccontare ai miei dell'università a cena, provo a sorridere, a trascorrere più tempo la sera con loro, magari guardando un film, e vi assicuro che lo faccio contro ogni propensione a mandarli a fare in culo per tutto quello che mi stanno facendo e mi hanno fatto; ho provato a fermarmi ed a pensare che forse il problema potevo essere io, che il fatto che non si amassero più derivasse da me sempre così scostante, così lontana, silenziosa, sofferente.
Così ho deciso di provare a comportarmi da adulta, e sono giorni che tutte le sere a cena parlo dei professori, delle lezioni, ho fatto anche un foglio a mia mamma con gli orari dell'università così magari, ho pensato, è più tranquilla, si fida quando le dico che torno alle tre perché ho lezione fino alle 14, insomma ho provato un po' a collaborare.
Di solito tra me e mia sorella lei è quella "ribelle", che va male a scuola, io sono sempre stata la figlia modello, in qualche modo, quella dei voti impeccabili a scuola, quella che studia senza che nessuno glielo dica, di cui lamentarsi del 7 in pagella, quella che però non parla mai, risponde poco, nasconde l'odio.
Ho provato a parlare di più, ho pensato che mio padre non mi calcolasse per colpa mia, perché io non glielo consentivo, così ho provato a fargli ascoltare una registrazione di una lezione di filosofia morale ed anche se dopo cinque minuti si è alzato e se n'è andato perché si annoiava io l'ho considerata una piccola vittoria, un passo avanti.

E poi ieri sera.

Stavamo cenando, io raccontavo della mia università, mia mamma raccontava dei colloqui avuti a scuola da mia sorella con i professori, tra cui un mio ex professore perché io e mia sorella abbiamo frequentato la stessa scuola.
Così mia mamma racconta serenamente, ridiamo, mi sembra di fingere bene, mi sembra di fare uno sforzo per guadagnarmi un po' di amore, un po' di qualcosa... poi mia mamma inizia un po' a prendere in giro questo mio professore del liceo, e tutti siamo d'accordo, ne ridiamo, io anche ne parlo male e ridiamo anche di questo, poi sparecchiamo ed io mi preparo per andare in Oratorio a fare una riunione, mentre mia sorella rimane a casa.
Prima di uscire, visto che un neo mi fa male da un po' di giorni, dico a mia mamma di chiamare il medico, lei mi da un bacino, mi dice di stare tranquilla che lo chiama lei ed a me sembra quasi per un secondo che mi voglia bene, che sia sincera, provo a dimenticare come si comporta di solito, ad assumermi le mie responsabilità di figlia, provo ad andarle incontro.
Non sono la Santa della situazione, sia chiaro; solo credevo davvero di essere parte dei problemi dei miei genitori: che mia mamma mi spiasse perché mi chiudo troppo in me stessa, che mio padre non mi calcolasse perché non racconto mai niente di me a casa, insomma ho provato, se pur da pochi giorni, a cambiare qualcosa di me.

Arrivo in oratorio e non faccio due passi che mia sorella mia chiama al cellulare.
Le rispondo e la sento incredula e affannata che mi chiede se ho un minuto perché mi deve raccontare una cosa assurda.
Così parliamo e lei mi dice che appena io sono uscita di casa lei è salita in camera sua ma fermandosi sulle scale perché internet prendeva bene.
I miei credevano che lei se ne fosse andata in camera, non sapevano che fosse rimasta sulle scale, così ha sentito mia mamma che diceva a mio papà: "Non dare retta a quella. Hai sentito come parla del suo professore? Non darle corda quando parla così.
E' una cafona. Una cafona.
Ma io l'ho detto al professore ai colloqui: io a Cecilia l'educazione l'ho insegnata, poi lei ha scelto di non applicarla.
L'ho detto al professore: è soltanto una cafona.
Crede di essere diventata grande ma è solo una bambina piena di sé."
Mentre mia sorella parlava io piangevo. Mi riferiva queste parole di cui ognuna era un pugnalata feroce, un cazzo di colpo alle spalle, una mossa sleale.
Le lacrime cadevano e non riuscivo a fermarle, come non mi capitava da secoli.
Sentivo quel nodo in gola, quella specie di nodo che strozza, che non fa respirare, e tutto perché volevo piangere.
Tutto perché non capivo. Per la prima volta io non capisco.
Per quanto mi sforzi queste parole mi sono più incomprensibili di quelle di Kant, non riesco a decifrarle.
Mi suonano in testa, e non sono per nulla arrabbiata con mia mamma.
Solo mi chiedo perché.
A cena non avevamo litigato, stavamo ridendo, stavamo prendendo in giro questo professore che è un po' bipolare, mia mamma per prima!
Mentre invece ad uno stupido colloquio un'ora prima era con lui che sputtanava me.
Gli ha detto che sono una cafona, che non ho educazione, cosa gli ha detto? Che io parlo male di lui?
Io capisco come. MA NON CAPISCO PERCHE'! E per quanto io continui a sforzarmi di trovare una ragione per la quale mia mamma avrebbe dovuto dire quelle cose a mio padre dopo avermi dato un bacio e tranquillizzata per questo neo dolorante non ce la faccio, non la trovo! Solo vuoto, solo incomprensione, solo domande che risuonano "perché!"... Dopo aver riso a tavola con me!
Non riesco a capire!
E non capisco che cos'ho di sbagliato!
Perché continuo a fare la lista delle cose che faccio: non ho mai dato problemi a scuola, sono l'unica della mia classe ad essere uscita con un merdoso 95 dalla maturità studiando diligentemente come una brava bambina, vado all'università, non salto UNA LEZIONE, nemmeno una, fino alle 18 di sera o fino alle 14 e quando arrivo a casa studio, non guardo nemmeno la televisione, per vedere il mio ragazzo studio con lui sul tavolo in cucina, nemmeno mi chiudo in camera da sola a cazzeggiare, aiuto a cucinare, ultimamente racconto anche di quello che faccio a lezione, guardo i film con loro la sera sul divano per fare loro compagnia, non esco la sera perché non mi fanno uscire e comunque non lo farei, il sabato sera sono a casa alle 23.30 come mi dicono, e non dico che tutto ciò mi renda inattaccabile ma vorrei soltanto capire DOVE SBAGLIO!
E perché, perché mi sono meritata quelle parole!
E perché mia madre continua ad odiarmi, a parlare male di me alle mie spalle come fossi la sua amichetta del liceo e non sua figlia, che dovrebbe amare (oppure no?)!
Forse mi sbaglio, forse l'ho sempre negato con una profonda e finta indifferenza soffocando tutto nel cibo schifoso in chili di cibo ma io VOGLIO UN PO' DI AMORE!
E qui, in questa casa, c'è solo merda! Perché di tutto, di tutto infine io sono una cafona! E tutto si può ora riassumere così! E mia madre lo dice anche al mio professore del liceo, perché lei i suoi figli non li difende davanti ai professori, li sputtana!

Perché mia madre è falsa?  O meglio: può essere falsa una madre? Può sparlare dietro una figlia come fosse la prima della classe al liceo con cui è in competizione per un voto? E può mettersi i miei vestiti, frugare nei miei armadi, leggere i miei diari?
E porca puttana!, sto piangendo anche adesso mentre scrivo e dopo essermi abbuffata di nuovo!
Perché da lunedì io passerò al digiuno, perché non ho mai provato una voglia così forte e prepotente di sparire, sparire, sparire!
Per essere invisibile, per non sopportare questo odio, questo termine che mi rimbomba in testa "cafona!" "bambina piena di sé!"
Tutto mi risuona maledettamente in testa!

Ed io mi sento un rottame, ho la testa bassa, sorrido a mia mamma come se non sapessi quello che mi ha detto alle spalle appena sono andata via, senza motivo, senza motivo, senza motivo... e sono incazzata perché mi fa male!
Perché abbuffarmi non è servito a un cazzo, se non a farmi diventare la faccia rossa e gonfia!
Perché sto male lo stesso!
Perché non voglio mangiare più.
Voglio capire perché non merito amore, e mi sento davvero una bambina piena di sé, una bambina.
Forse hai ragione, mamma. Ed è per questo che sto così male: perché tu hai ragione. E qualsiasi cosa io faccia, che prenda 30 a tutti gli esami, che studio 26 ore o che esca a bere con gli amici come fanno le persone della mia età, che io ti chiami troia come dovrei fare o che ti faccia il massaggio alla schiena e ti appenda i miei orari alla porta per aiutarti a controllarmi meglio, sarò sempre una cafona ed una bambina.
Di merda. E non posso fare niente.
Se non dimagrire.
NON C'E' NIENTE CHE IO POSSA FARE.

domenica 8 novembre 2015

Appare così, ma non è così.



Un mese che non scrivo, non commento, non leggo.

Inutile dire che non ho novità convincenti per nessuno, inutile dirvi che scrivo un po' per me stessa anche perché non sapete quanto sinceramente io mi vergogni di scrivere quello che sto per scrivere.

Però non so: forse più per un gesto di onestà, uno dei pochi di questo ultimo mese, sento di dover scrivere.

Ci ho riflettuto tanto e poi ho deciso di mettere nero su bianco quello che avrei dovuto ammettere ed accettare fin dal primo giorno.

Vederlo sulla pagina, spiattellarlo a persone che non conosco, mi fa come provare un senso di giustizia.

Non so proprio da dove cominciare.

Comincerò con il dirvi che filosofia mi piace sempre di più: sembra un altro mondo, è impressionante quante cose si possano studiare: addirittura stiamo leggendo la “Critica della ragion pratica” di Kant e mi piace! Ascolto le lezioni incantata e vi assicuro che non sono mai stata così entusiasta di qualcosa.

(Se qualcuna di voi dovesse essere indecisa o combattuta come lo ero io quando avrei voluto qualcuno che mi dicesse “Sì, fallo!”, io dico: Sì, FALLO!).

Le lezioni sono fino alle 18 ed io prendo il treno stremata, lo aspetto seduta per terra, vivo sui mezzi pubblici, torno a casa stanca eppure trovo la forza di aprire uno dei libri e studiacchiare qualcosa.

Sono immensamente più rilassata che al liceo e studio paradossalmente di più.

Non sono sicura che gli esami andranno bene ma, sembra assurdo, non mi interessa.

Potrei prendere una sfilza di 18: l’unica cosa che non mi perdonerei sarebbe non sapere.

Invece io voglio sapere, io mi interesso, scavo, collego, approfondisco, riassumo, scrivo.

Premetto che non ho conosciuto nessuno, zero, nemmeno una persona, nemmeno un amico, nemmeno uno con cui scambiare due parole durante il giorno: pranzo da sola, studio da sola, giro da sola, sto sola fino alle 18 tutti i giorni. Ho scoperto e confermato il mio essere profondamente asociale, il mio voler essere così: non sopporto più le persone. Non ho voglia di nessuno con cui parlare per finta, con cui costruire un’identità, con cui essere diversa da qualcosa che non sono, con cui esistere per forza.

 

Ebbene qui arriva la parte più difficile da spiegare, ma ci voglio provare.

 

Questo entusiasmo non è puro.

Non riuscirei a definirlo altrimenti.

 

Un giorno alla lezione di filosofia teoretica mi si è seduto accanto un ragazzo: altissimo, i capelli biondo scuro, magro, dall’aria presuntuosa e silenziosa.

Siamo stati seduti l’uno accanto all’altra per due ore, senza scambiarci nemmeno una parola, come normale. Ridendo dentro di me ho pensato che fosse bellissimo, ma niente di più.

Poi sono passati dieci giorni vuoti, in cui io come al solito studiavo, pranzavo da sola, giravo da sola, prendevo il pullman da sola.

Dopo undici giorni, mi è tornato in mente.

Come se mi fossi all’improvviso ricordata che questo ragazzo esisteva: così è diventato un’ossessione.

Non so proprio come io possa scriverlo qui, a voi, però come vi ho detto questo è un moto di onestà anche se tremo all’idea di quello che potrete pensare.

Ho iniziato a fissarlo in modo ossessivo tutti i giorni, a cercarlo con gli occhi, a studiarlo, a scrivere l’ora in cui arriva a lezione, il posto dove si siede e, quando l’ho scoperto, ho iniziato a sedermi sempre una fila sotto di lui.

L’ho fissato così intensamente per un mese intero, tutti i giorni, che lui se n’è accorto ed ha iniziato a ricambiare qualche sguardo con un altrettanto sguardo ma, nel suo caso, pesantemente infastidito.

La cosa tragica è che più lui mi guarda con disapprovazione, più io continuo a fissarlo e non distolgo lo sguardo neppure quando lui inizia a fissarmi di rimando con gli occhi che mi rimproverano.

Forse non è così, forse nemmeno se n’è accorto; fatto sta che per giorni ho pianto per lui, per giorni l’ho seguito nella pausa pranzo fino ad una via che imbocca sempre e nella quale io non ho ancora avuto il coraggio di seguirlo.

So che raccontarlo lo distrugge, ma questo avvenimento mi sta segnando e non so come descriverlo senza farlo sembrare stupido.

Per giorni ho praticamente smesso di sentire la fame perché pensavo a lui, e per tutti gli altri ho iniziato ad abbuffarmi per sentire qualcosa di diverso dalla profonda attrazione per lui.

Ne ho parlato al mio ragazzo, ho pensato quasi di lasciarlo, abbiamo pianto tanti giorni anche se lui è stato comprensivo (il mio ragazzo non è per niente geloso: chissà perché le persone che mi stanno accanto non lo sono mai!) e mi ha detto che la cosa che vuole più di tutte è che io sia felice e che se credo che ci sia qualcosa in quel ragazzo io devo seguire quello che sento.

A me invece sembra di essere tornata alle scuole medie, solo che adesso al posto del ragazzetto carino che guardo incantata c’è un oggetto REALE: mi sembra davvero l’unico ragazzo in quell’aula piena ad avere consistenza.

È davvero la cosa più bella che io abbia mai visto, e la più vera. So che ne ho parlato velocemente e con fare un po’ distratto, ma lui è bello da togliere il fiato.

Prima che entri lui le duecento persone che mi circondano sono zero, non sono niente; appena lui arriva l’aula si riempie, a me si ferma il cuore e smetto di respirare: credevo fossero cose che succedessero solo nei cartoni animati e nei film, ma io sento seriamente il cuore che si ferma e non riesco a respirare.

Lo guardo e non riesco a smettere di farlo finché lui non si va a sedere e poi continuo ignorando la sua amica che mi fissa irritata e quelli di fianco a me che cercano di capire dove io guardi per tutte le due ore di lezione.

Vi ho detto che studio molto più che al liceo: non è solo la passione per quello che studio a guidarmi: in realtà studio come una matta per non restare indietro con gli esami e non perdere lui, e già mi sento persa perché ho il terrore che lui seguirà corsi diversi dai miei.

Non so assolutamente il suo nome e vi assicuro che in 3 anni di relazione felice e piena con il mio ragazzo non mi era MAI, MAI capitata una cosa del genere.

Non ho avuto mai occhi per nessuno all’infuori del mio ragazzo, io lo amo tantissimo, eppure adesso giuro che è la situazione più dolorosa e irrazionale che io abbia mai dovuto affrontare.

Non ho pensato al cibo per settimane, non mi interessava nemmeno di abbuffarmi, era una cosa meccanica a cui non davo importanza perché pensavo a lui, lui, lui, lui.

Adesso sono a casa fino a mercoledì per una finestra esami e non so come io stia riuscendo a gestire la voglia che ho di vederlo.

Trascorro i pomeriggi sui libri a piangere perché la situazione è questa:

-ho trovato qualcosa di reale finalmente.

-questa persona è reale perché io non posso raggiungerla, conoscerla, averla.

-il non poter averla, raggiungerla, conoscerla mi fa stare come un cane e rende tutto il resto un penoso sfondo.

-se voglio che rimanga reale non devo raggiungerla, conoscerla, averla.

Sembra abbastanza tragica descritta così.

Io sono consapevole che questa situazione è malata, sono anche convinta che il mio abbuffarmi continuo di queste settimane (ho raggiunto e superato i 70 chili! Andiamo!!) non sia affatto indipendente e distante da tutto ciò, e so che anche questo ragazzo da cui sono attratta ed ossessionata rappresenta niente meno che (rullo di tamburi!) un tentativo di evasione dalla mia vita, l’ennesimo.

Visto che probabilmente questa storia di abbuffarmi e sognare la magrezza per colmare i vuoti stava annoiando me, il mio corpo e la mia mente, abbiamo tutti e tre focalizzato la nostra attenzione su qualcosa di altrettanto irraggiungibile: il ragazzo senza nome e bellissimo.

Inoltre continuo a farmi influenzare dal fatto che ha scelto filosofia e che deve avere un sacco di cose in comune con me, deve essere un ragazzo diverso, particolare … insomma un lavoro psicologico che ci sarebbe da divertirsi ad analizzarlo.

 

Anche perché ci ho provato da sola: ho provato ad immaginare che tutti questi meccanismi complicati di rimozione, sostituzione, spostamento dipendessero dalla situazione che sto vivendo e che voglio prendermi la briga di raccontarvi brevemente.

-Mia madre mi ha confessato che va da una psicologa (mentre non vuole assolutamente e mai ha voluto mandarci me.)

-che lei e mio padre vanno abitualmente a parlare con un prete che secondo me è più un esorcista perché mio padre sta diventando violento e perde la pazienza ogni momento, oltre al fatto che non ci ama come vi avevo accennato (sì, continua a dire che io e mia sorella lo lasciamo profondamente indifferente e bla bla bla)

-e che loro due vogliono separarsi

Ed ho ottenuto da parte mia, analizzando queste cose, una fortissima apatia.

È come se qualcosa dentro di me mi impedisse di realizzare questa situazione familiare, come se

 

-le urla di mio padre quando butta la sedia per terra perché nell’insalata non c’è il sale o cose simili fossero un atto totalmente lontano da me e dalla mia vita;

-come se mia madre che mi svuota l’armadio ogni sera e mi legge i quaderni e poi mi manda le mie frasi sul telefono per messaggio non mi riuscissero a penetrare, non riuscissero a toccarmi:

 

ed io mangio e penso al ragazzo, io mangio e penso che devo smettere di mangiare, io rido e penso che ridere non è normale in queste circostanze, io piango e penso finalmente che è cosa buona e giusta ma piango per il ragazzo e dovrei piangere per altro ed intanto studio perché sono innamorata di ciò che studio, mi porta fuori da questo mondo che non mi riguarda e mi porta avanti con il programma per poter dare gli esami con ragazzo.

Non sono più in grado di amare il mio fidanzato perché l’amore nella mia famiglia non esiste più e quindi probabilmente qualcosa nel mio inconscio mi spinge a non voler amare più.
Vorrei soltanto cambiare vita, soltanto aver quel ragazzo per me, un’altra persona, altre frasi, altre situazioni, altri baci altro profumo.

Vi assicuro che vissuta è più triste di così.

E tra tutto volevo annunciarvi che ho preso appuntamento in quel centro di disturbi alimentari e l’ho preso quando l’altra sera ho vomitato come non succedeva da mesi e mesi e mi sono scoppiati i capillari negli occhi che si sono iniettati di sangue ed io odio il sangue e mi sono dovuta sedere perché mi sono sentita mancare ed ho seriamente, per la prima volta, avuto tanta paura.

Sento che se questo centro non dovesse aiutarmi le cose precipiterebbero tutte insieme in un buco nero qualsiasi.

Non dico di aver raggiunto il limite perché ogni volta lo dico ed ogni volta invece l’asticella si alza.