“Il vero sciocco, colui che gli dei deridono e distruggono, è quello che non conosce se stesso. Io lo fui per troppo tempo. Tu anche lo fosti per troppo tempo. Non esserlo più. Non aver timore. Il vizio supremo è la superficialità. Tutto ciò che è vissuto fino in fondo è giusto.” De Profundis, Oscar Wilde. Sono una lettrice, amo la filosofia e la letteratura, ma odio il mio corpo. 1.60x57 kg. Sono prigioniera: di me stessa, del cibo, delle mie ossessioni. Malata di una malattia che non esiste.
martedì 31 marzo 2015
Gli altri devono mangiare più di me.
Ciao ragazze meravigliose :)
Voglio iniziare questo post con due citazioni dalla mia Bibbia, “La coscienza di Zeno”, e vi invito a leggerle e, se avrete pazienza, concludere il mio post.
“Ma allora io non sapevo se amavo o odiavo la sigaretta e il suo sapore e lo stato in cui la nicotina mi metteva. Quando seppi di odiare tutto ciò fu peggio. E lo seppi a vent’anni circa. Allora soffersi per qualche settimana di un violento male di gola accompagnato da febbre. Il dottore prescrisse il letto e l’assoluta astensione dal fumo. Ricordo questa parola assoluta! Mi ferì e la febbre la colorì: un vuoto grande e niente per resistere all’enorme pressione che subito si produce attorno ad un vuoto.
Quando il dottore mi lasciò, mio padre, con tanto di sigaro in bocca restò ancora per qualche tempo a farmi compagnia. Andandosene, dopo di aver passata dolcemente la sua mano sulla mia fronte scottante, mi disse:
-Non fumare, veh!
Mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: “Giacché mi fa male non fumerò mai più, ma prima voglio farlo per l’ultima volta”.
Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall’inquietudine ad onta che la febbre forse aumentasse e che ad ogni tirata sentissi alle tonsille un bruciore come se fossero state toccate da un tizzone ardente.
Finii tutta la sigaretta con l’accuratezza con cui si compie un voto. E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre durante la malattia.
Mio padre andava e veniva con il suo sigaro in bocca dicendomi:
-Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito!
Bastava questa frase per farmi desiderare ch’egli se ne andasse presto, presto, per permettermi di correre alla mia sigaretta. Fingevo anche di dormire per indurlo ad allontanarsi prima.”
“Scommettemmo! Il primo che avrebbe fumato avrebbe pagato eppoi ambedue avrebbero ricuperato la propria libertà. […]
La scommessa si dimostrò perniciosissima. Non ero più alternativamente padrone ma soltanto schiavo e di quell’Olivi che non amavo!
Fumai subito.
Poi pensai di truffarlo continuando a fumare di nascosto. Ma allora perché aver fatta quella scommessa? Corsi allora in cerca di una data che stesse in bella relazione con la data della scommessa per fumare un’ultima sigaretta che così in certo modo avrei potuto figurarmi fosse registrata anche dall’Olivi stesso.
Ma la ribellione continuava e a forza di fumare arrivavo all’affanno. Per liberarmi di quel peso andai dall’Olivi e mi confessai.
Il vecchio incassò sorridendo il denaro e, subito, trasse di tasca un grosso sigaro che accese e fumò con grande voluttà.
Non ebbi mai un dubbio ch’egli non avesse tenuta la scommessa. Si capisce che gli altri son fatti altrimenti di me.”
Ciao, ragazze.
Il 30 marzo, dopo aver scritto il post, mi sono abbuffata. Ho aperto questo libro e ho tirato un enorme respiro, ho aperto il computer e mi son detta “Lo condivido con loro. “.
Probabilmente e fortunatamente molte di voi non capiscono a fondo questo mio essere inetta fino al midollo; ebbene, ragazze, è davvero così. Sono una fallita a tal punto, sì, come pensate voi. E credo sia tristemente per questo che Svevo è piaciuto solo a me, in tutta la mia classe.
Chi può comprendere a fondo un inetto? Solo un altro inetto.
Non vi spiego i passi che ho riportato perché sarebbe un enorme peccato: non bisogna capire, bisogna vivere.
Io e Svevo ci saremmo sposati, se fossimo vissuti nella stessa epoca: lui avrebbe scritto romanzi ispirati a me e fidatevi che sarebbe rimasto inorridito lui stesso. Immagino avrebbe detto “Nemmeno io sarei stato capace di creare un inetto come te! Tu sei l’ inettitudine! Mai vista un roba del genere…!”
A parte gli scherzi non volevo dedicare il post ai miei fallimenti innumerevoli, bensì ad un pensiero anoressico che ancora provo, ogni tanto, nonostante io sia anoressica solo più nel cervello, ma che nel periodo in cui lo ero pure fisicamente io coltivavo ed era divertentissimo per me da mettere in pratica: “Dio, se non vuoi far dimagrire me, fai ingrassare gli altri!”
Ebbene sì, la cattiveria di una malata può arrivare a soglie che voi umani non potete immaginare!
Un anno dopo essermi ammalata di anoressia, quando sono arrivata a 42 chili, facevo la prima superiore.
Uscivo all’una tutti i giorni, mentre mia sorella che andava alle medie usciva alle 13.40.
In quei quaranta minuti voi non potete sapere cosa non combinavo: mamma lasciava a me e mia sorella una pentola di pasta da dividere, e, come è naturale che sia, facevo a lei un maxi piattone gigante e per me lasciavo qualche forchettata.
Tanto lei arrivava dopo!
Ma questo non è nulla. Riempivo la sua pasta di olio, le grattugiavo il formaggio, aggiungevo sugo, condimento, sale, ero una vera merda! Come mi piaceva, era un atto che mi mandava in estasi… poi mia sorella era così magra!
Quando mia mamma cucinava la peperonata io mi prendevo due cucchiaiate e a lei condivo il sugo con l’olio, prendevo il pane e glielo inzuppavo nel sugo e le facevo un mega piatto che lei poi doveva mangiare perché non aveva idea di quanto mia mamma cucinasse, quindi nella sua ottica quella era la sua porzione e mamma l’avrebbe picchiata se non avesse mangiato.
(sì, mia mamma è sempre stata piuttosto poco dolce…)
Quando c’era la cotoletta io mi mangiavo la mia e poi a lei, oltre alla cotoletta, impanavo e friggevo del pane e lei se lo mangiava con gusto, non immaginate gli orgasmi che provavo ahahJ
Non so se vi è mai successo, mi sento cattiva a ricordare queste cose, ma mi fanno troppo ridere!
Pensate che preparavo a mia mamma la merenda tutti i santi giorni: per me una mela o uno yogurt e per lei due, tre toast e se non li mangiava (cosa improbabile) io mi offendevo e mi saliva il panico, mi chiudevo in camera e avevo crisi terribili!
Così a tavola: guardavo solo nel piatto degli altri.
1) Per non andare più veloce di loro
2) Per controllare che mangiassero più di me.
Era un’ossessione.
Ora sinceramente peso 20 kg in più, per cui me ne frega poco che mia mamma mangi il toast, tanto sono infinitamente più grassa di lei e di mia sorella pure, e l’unico obiettivo della mia vita è non abbuffarmi – cosa che mi pare impossibile viste le mie capacità di mantenimento propositi.
Ora sinceramente sogno tutte le notti il momento in cui sarò di nuovo magra.
Ora sinceramente vesto solo in tuta, faccio schifo, e penso che mi vestirò quando sarò magra.
Ora, sinceramente, nei giorni restrizione aggiungo l’olio a mia mamma di nascosto nel piatto, ma nulla di più. È una sorta di piccola abitudine, un tic, un automatismo.
Sono stata malata, sono stata cattiva. Ma venderei l’anima al diavolo per riavere il corpo che imprigionava quella mente meschina e spietata.
E voi, ragazze, avete mai avuto o avete tutt'ora questa insana abitudine? :)
lunedì 30 marzo 2015
Un anno.
Mi sembrava doveroso dedicare un post ad un anno del mio blog.
Grazie perché mi avete sostenuta, appoggiata, ascoltata... Non so che dire. Solo che probabilmente questo blog mi ha un po' salvata: spero di continuare a condividere con ognuna di voi la mia vita, di continuare ad ascoltarvi e a crescere grazie a voi, anime sensibili e intelligenti...e spero di potervi comunicare un giorno che sono uscita dalla merda.
Intanto festeggio un anno di Sybil con un proposito: da oggi non mi abbuffo più.
Spero che Svevo mi possa perdonare se riuscirò a mantenerlo... Anche lui festeggiava gli avvenimenti significativi della sua vita con un proposito: persino la morte di suo padre. Inutile dire il suo matrimonio e la nascita dei suoi figli.
Ma il mio proposito sarà sicuramente l'ultimo...
Un abbraccio e un grazie immenso a tutte voi... Spero non vi stancherete in fretta di me! E che un giorno potremmo ritrovarci tutte decrepite e ciccione a ridere di questi post lunghi e noiosi in cui ci credevamo grasse!
Un bacio,
Cecilia.
Grazie perché mi avete sostenuta, appoggiata, ascoltata... Non so che dire. Solo che probabilmente questo blog mi ha un po' salvata: spero di continuare a condividere con ognuna di voi la mia vita, di continuare ad ascoltarvi e a crescere grazie a voi, anime sensibili e intelligenti...e spero di potervi comunicare un giorno che sono uscita dalla merda.
Intanto festeggio un anno di Sybil con un proposito: da oggi non mi abbuffo più.
Spero che Svevo mi possa perdonare se riuscirò a mantenerlo... Anche lui festeggiava gli avvenimenti significativi della sua vita con un proposito: persino la morte di suo padre. Inutile dire il suo matrimonio e la nascita dei suoi figli.
Ma il mio proposito sarà sicuramente l'ultimo...
Un abbraccio e un grazie immenso a tutte voi... Spero non vi stancherete in fretta di me! E che un giorno potremmo ritrovarci tutte decrepite e ciccione a ridere di questi post lunghi e noiosi in cui ci credevamo grasse!
Un bacio,
Cecilia.
sabato 21 marzo 2015
La deficienza occasionale
Le parole si trascinano, ma non mi trascinano. Oserei dire “purtroppo”, perché la mia infelicità è paralizzante.
Niente riesce a dissuadermi, niente a convincermi, niente a stravolgermi. Non ho trovato quella parola capace di farmi dire “no”.
Intanto il cielo si spegne lentamente nelle mie ossa, in fondo al corpo, nascoste; il desiderio disperato di quelle parole
“Come sei dimagrita.”
“Ma non stai dimagrendo troppo?”
“Sei sempre più sciupata”.
Cosa ho fatto per non meritarle più?
Una vita brillante e perfetta che anela a dei superficiali giudizi di gente comune.
La complessa identità del niente è da scandagliare e deframmentare per poterla bruciare insieme a tutti i propositi ammuffiti, marci, fetenti. Per un grande fuoco immaginario e imponente, un enorme pozzo di morti e vivi, un’indistinta cieca selezione riguardo la merda.
Sì, una simpatica e sporca cura per l’inettitudine. Mentre scrivo mi affanno come un mulo, stremata, rotta, stanca: il vento si trascina le parole, i miei occhi le perdono e la testa non le segue; quante cose vorrei dire, urlare, gridare, e quante cose soffoco nel petto e nei polmoni come fumo e come arroganti gelosie di pensieri attenti e sfuggenti! Di quante parole potrei liberarmi come di un macigno nel cuore asciutto, invece di gettare tutto nello stomaco insieme a tonnellate di povero cibo innocente, frantumato e poi sputato, ridotto ad un mucchio di carne ed odore!
Carne viva, pesante, carne presente: come si potrebbe conservare e consumare con furia, se solo non fossi sola al mondo!
Ogni solitudine è povera e insieme ricca, ogni mondo è degno e indegno, la miseria conduce un filo tra ogni sentimento umano e puramente costruito e determinato dapprima dal bisogno di vivere, poi da quello intollerabile di morire!
Il mio cervello crea ed io obbedisco, non provo a ribellarmi e do vita a immagini pazzesche di desolazione e misurata negligenza.
Misurata: ogni cosa in un suo angolo di macerie, ogni pensiero nel suo spazio non-vitale; la distruzione che non risparmia nemmeno se stessa.
Una strage di propositi, così amo chiamarla: la profonda consapevolezza di non potercela fare, nascosta sotto strati piacevolmente numerosi e comodi di speranza, grinta, volontà, tutte quelle cose che contano ben poco; dolorosamente nulla.
Ricominciare fa parte del gioco allettante dell’autolesionismo, quel desiderio inspiegabile di essere dannati, esclusi ed incompresi (disgraziatamente soddisfatti).
La deficienza occasionale.
L'intelligenza non-presente. Quella non vissuta. Quella non capita. Difficile è l’affermarsi dei diversi e dei noiosi: i primi perché non gli altri, i secondi condannati. La solitudine è il diritto di ogni anima ritrovata, e se negata viene difesa fino alla morte, con la morte che ne è il culmine.
La punta del cielo aspetta i giusti, eppure la giustizia premia i colpevoli e li libera, li perdona, scatenando nei retti l’ira che li rende rei.
L’ispirazione chiusa in una scatola, sfumata come polvere di matita.
Sono spaventosamente infelice: mangio. Non riesco a trovare una ragione per continuare a combattere.
Continuo a pensare a come ero magra, ma è inutile: non sono capace.
Sono parole su parole in un giorno in cui tutto è spento, sono morta dentro, gli occhi sono tristi nel loro più profondo angolo ma nessuno se ne accorge, non esiste una cura per questa maledetta e paralizzante tristezza!
Non esiste convinzione che me ne liberi, sono tormentata, soffro tantissimo ma non riesco a trasmettere nemmeno un briciolo di questo straziante dolore!
Ho un’anima lacerata, le parole mi sfuggono ed io sono completamente sola, il mondo continua a girare mentre io vorrei che si fermasse perché non sono pronta ad andare avanti.
Non ce la faccio più.
Una bottiglia di acqua mezza vuota, i capelli appiccicati in testa in una stanza affollata dal silenzio, un silenzio in cui non c’è spazio per me e le mie grida disperate: ammutolisco.
Incomprensibile per chi non brucia di questo fuoco feroce e spietato.
Incomprensibile. Non di quella che poi si può risolvere e si spiega: non è comprensibile. Quell’infelicità che ti divora da dentro, ti lacera il cuore; sono un’anima ferita e pare che ingoi il mio sangue ma non è così e forse non posso nemmeno dimostrarlo.
Un dramma.
Ho tanta voglia di scomparire, non voglio provare più questo dolore. Ci riesco, ma non voglio.
Forse è vero quello che dice Emil Cioran:
non esiste una sofferenza limite.
Niente riesce a dissuadermi, niente a convincermi, niente a stravolgermi. Non ho trovato quella parola capace di farmi dire “no”.
Intanto il cielo si spegne lentamente nelle mie ossa, in fondo al corpo, nascoste; il desiderio disperato di quelle parole
“Come sei dimagrita.”
“Ma non stai dimagrendo troppo?”
“Sei sempre più sciupata”.
Cosa ho fatto per non meritarle più?
Una vita brillante e perfetta che anela a dei superficiali giudizi di gente comune.
La complessa identità del niente è da scandagliare e deframmentare per poterla bruciare insieme a tutti i propositi ammuffiti, marci, fetenti. Per un grande fuoco immaginario e imponente, un enorme pozzo di morti e vivi, un’indistinta cieca selezione riguardo la merda.
Sì, una simpatica e sporca cura per l’inettitudine. Mentre scrivo mi affanno come un mulo, stremata, rotta, stanca: il vento si trascina le parole, i miei occhi le perdono e la testa non le segue; quante cose vorrei dire, urlare, gridare, e quante cose soffoco nel petto e nei polmoni come fumo e come arroganti gelosie di pensieri attenti e sfuggenti! Di quante parole potrei liberarmi come di un macigno nel cuore asciutto, invece di gettare tutto nello stomaco insieme a tonnellate di povero cibo innocente, frantumato e poi sputato, ridotto ad un mucchio di carne ed odore!
Carne viva, pesante, carne presente: come si potrebbe conservare e consumare con furia, se solo non fossi sola al mondo!
Ogni solitudine è povera e insieme ricca, ogni mondo è degno e indegno, la miseria conduce un filo tra ogni sentimento umano e puramente costruito e determinato dapprima dal bisogno di vivere, poi da quello intollerabile di morire!
Il mio cervello crea ed io obbedisco, non provo a ribellarmi e do vita a immagini pazzesche di desolazione e misurata negligenza.
Misurata: ogni cosa in un suo angolo di macerie, ogni pensiero nel suo spazio non-vitale; la distruzione che non risparmia nemmeno se stessa.
Una strage di propositi, così amo chiamarla: la profonda consapevolezza di non potercela fare, nascosta sotto strati piacevolmente numerosi e comodi di speranza, grinta, volontà, tutte quelle cose che contano ben poco; dolorosamente nulla.
Ricominciare fa parte del gioco allettante dell’autolesionismo, quel desiderio inspiegabile di essere dannati, esclusi ed incompresi (disgraziatamente soddisfatti).
La deficienza occasionale.
L'intelligenza non-presente. Quella non vissuta. Quella non capita. Difficile è l’affermarsi dei diversi e dei noiosi: i primi perché non gli altri, i secondi condannati. La solitudine è il diritto di ogni anima ritrovata, e se negata viene difesa fino alla morte, con la morte che ne è il culmine.
La punta del cielo aspetta i giusti, eppure la giustizia premia i colpevoli e li libera, li perdona, scatenando nei retti l’ira che li rende rei.
L’ispirazione chiusa in una scatola, sfumata come polvere di matita.
Mangio.
Un gesto così naturale, un gesto ripetitivo fino a diventare ossessione.Sono spaventosamente infelice: mangio. Non riesco a trovare una ragione per continuare a combattere.
Continuo a pensare a come ero magra, ma è inutile: non sono capace.
Sono parole su parole in un giorno in cui tutto è spento, sono morta dentro, gli occhi sono tristi nel loro più profondo angolo ma nessuno se ne accorge, non esiste una cura per questa maledetta e paralizzante tristezza!
Non esiste convinzione che me ne liberi, sono tormentata, soffro tantissimo ma non riesco a trasmettere nemmeno un briciolo di questo straziante dolore!
Ho un’anima lacerata, le parole mi sfuggono ed io sono completamente sola, il mondo continua a girare mentre io vorrei che si fermasse perché non sono pronta ad andare avanti.
Non ce la faccio più.
Una bottiglia di acqua mezza vuota, i capelli appiccicati in testa in una stanza affollata dal silenzio, un silenzio in cui non c’è spazio per me e le mie grida disperate: ammutolisco.
Incomprensibile per chi non brucia di questo fuoco feroce e spietato.
Incomprensibile. Non di quella che poi si può risolvere e si spiega: non è comprensibile. Quell’infelicità che ti divora da dentro, ti lacera il cuore; sono un’anima ferita e pare che ingoi il mio sangue ma non è così e forse non posso nemmeno dimostrarlo.
Un dramma.
Ho tanta voglia di scomparire, non voglio provare più questo dolore. Ci riesco, ma non voglio.
Forse è vero quello che dice Emil Cioran:
non esiste una sofferenza limite.
martedì 17 marzo 2015
Limbo
Ha monopolizzato il mondo.
È in suo diritto uccidere senza pietà, il mondo si apre quando lei scrive. Lei e la penna e il silenzio circostante e la lucina accesa, piccola, attorno alle sue dita svelte e smaniose.
Delle parole da consumare al più presto, prima che si scordino e non si amino, delle parole pesanti e armoniose.
Il giorno è piovoso, la luce è nascosta nel grigio dell’asfalto che è il grigio del cielo; infine è un secondo di amarezza in gola, un minuto di follia fugace e passeggera, infine non è altro che una sensazione spiacevole nel petto.
Mi guardo allo specchio mio malgrado e mi lavo con furia e immagino: non penso ad altro che al mio corpo più sottile, ed al cibo di cui vorrei riempirmi.
Giro tra gli scaffali e guardo, conto, memorizzo; nove di storia.
Continuo a vagare tra merende ipercaloriche che sogno di divorarmi con goduria un pomeriggio da sola: bomboloni alla crema grassi e unti; crostate al limone piene di crema al limone; barattoli di nutella bianca.
Biscotti strani, biscotti ripieni.
Annoto tutto nei messaggi del cellulare, e penso “Mi piace quando non mi abbuffo. Ora mi faccio altri venti giorni rilassata senza abbuffarmi e poi vengo qui e compro tutto.”
Soddisfatta passo al salato: guardo sofficini impanati e ripieni al formaggio; guardo il gorgonzola, i formaggi cremosi, il pane morbido da riempire di salse, Philadelphia, salumi, formaggio fuso, mozzarella, olio e sale, burro di arachidi e tutte le porcherie che vi vengono in mente.
(beh, gli altri scelgono il film da vedere al cinema ed io la roba con cui abbuffarmi. Ad ognuno il suo!)
Torno a casa e mangio un piattino di lenticchie, la minestra napoletana (sarebbe una verdura tipo cime di rapa) e una mela.
Continuo a fantasticare sulla prossima abbuffata, mentre immagino come sarebbe bello evitarla.
Sono tormentata, divisa, spaccata in due, lacerata nel petto.
Guardo il mio corpo e lo voglio sottile, voglio pesare quarantasette chili, almeno, voglio uscire a mangiare una pizza solo un sabato sera, voglio poter pranzare con il mio ragazzo e restringere gli altri giorni.
Vorrei un equilibrio, ma contemporaneamente voglio scofanarmi tutto il cibo del mondo, riempirmi fino a piangermi addosso, fino a rotolare, voglio odiarmi e ricominciare di nuovo da capo.
Ho smesso di abbuffarmi venerdì, mi sono sgonfiata sebbene siano SOLO cinque giorni.
Voglio superare i venti, ma contemporaneamente desidero con tutta me stessa tutta quella roba di cui ingozzarmi, di cui pentirmi, di cui piangere.
Voglio arrivare per l’estate con un sacco di chili in meno, e vedo che se decido ce la faccio (ora non abbuffarmi è più semplice, e mangio moooolto poco, pochissimo, e sto moooolto bene, moltissimo); ma contemporaneamente voglio divorare ogni cosa, voglio divorare tutto.
La mia misera e stupida vita è attraversata da questi drammi.
Seriamente? No, ma davvero?
Con il cervello che mi sento potrei conquistare il mondo!, ed invece sono qui a tormentarmi tra gli scaffali rinunciando al compromesso “Un pezzetto di questo”. Non è questione di voglie, di piccoli sfizi: voglio intenzionalmente abbuffarmi.
Credo che io voglia smettere di abbuffarmi perché dimagrirei e quindi potrei abbuffarmi di nuovo.
Si, credo sia così.
Ma voi pensate davvero che il binge sia una malattia? O forse è una bulimia/anoressia trasformata in qualcosa di più sano, o meglio meno pericoloso?
Perché io mi sono ammalata di anoressia, io mi sono sempre identificata con l’anoressia, io ero quella magra. Ed ora non lo accetto. Non accetto tutto questo eccessivo desiderio di cibo; ma più che il desiderio, non accetto che io possa pensare di poterlo soddisfare.
Mi sento una completa idiota. Sto qua davanti alla scrivania e penso al cibo e parlo di cibo e corpo; oggi ho fatto la verifica su “Mastro-don Gesualdo” che ho letto con furia tra ieri e l’altro ieri, otto ore e passa filate, fino alle due di notte: il mio professore ci mette frasi dal libro da contestualizzare (cosa accade prima, cosa dopo), una critica da commentare e domande generali come la figura femminile nel romanzo, o il ruolo del paesaggio, o la scalata sociale e il tema dei vinti.
Povero Gesualdo, mi ha ricordato un sacco mio padre.
La cosa che mi fa ridere è che nel libro venivano descritte la moglie e la figlia: entrambe magrissime, scarne, entrambe fragili, entrambe dannatamente secche.
Mi facevo ridere da sola ad essere invidiosa di loro, sono proprio pazza.
Perché un’anoressica deve ammalarsi di binge? Io vorrei tanto guarire, però me lo chiedo spesso, spessissimo.
Cosa è successo che mi ha fatta ingrassare? Dove ho sbagliato?
Forse devo semplicemente dimagrire quanto basta per desiderare di dimagrire ancora. Da grassi è più difficile trovare la grinta per dimagrire. Ma quando sei magra, cazzo, niente e nessuno deve portarti via quello che hai! È il ragionamento che facevo io. Mi spiego: quando ero magra non mi abbuffavo (ovviamente) perché non volevo assolutamente ingrassare, un etto si vedeva come dieci chili. Adesso è diverso, perché mi dico che tanto sono grassa, che ormai nessuno più ci fa caso, che poi dimagrisco, che ho tempo, tutta la vita davanti e queste stronzate.
Devo semplicemente perdere i primi dieci chili, arrivare a cinquanta e poi il gioco è fatto: credo che, almeno ricordando come era prima, vedendomi così magra mi passerà la voglia di strafogarmi.
Per ora sto qui a ripetere le stesse cose noiose mentre sorrido perché non mi abbuffo, e mi dispero perché ho una terribile voglia di farlo.
Uffa.
È in suo diritto uccidere senza pietà, il mondo si apre quando lei scrive. Lei e la penna e il silenzio circostante e la lucina accesa, piccola, attorno alle sue dita svelte e smaniose.
Delle parole da consumare al più presto, prima che si scordino e non si amino, delle parole pesanti e armoniose.
Il giorno è piovoso, la luce è nascosta nel grigio dell’asfalto che è il grigio del cielo; infine è un secondo di amarezza in gola, un minuto di follia fugace e passeggera, infine non è altro che una sensazione spiacevole nel petto.
Mi guardo allo specchio mio malgrado e mi lavo con furia e immagino: non penso ad altro che al mio corpo più sottile, ed al cibo di cui vorrei riempirmi.
Giro tra gli scaffali e guardo, conto, memorizzo; nove di storia.
Continuo a vagare tra merende ipercaloriche che sogno di divorarmi con goduria un pomeriggio da sola: bomboloni alla crema grassi e unti; crostate al limone piene di crema al limone; barattoli di nutella bianca.
Biscotti strani, biscotti ripieni.
Annoto tutto nei messaggi del cellulare, e penso “Mi piace quando non mi abbuffo. Ora mi faccio altri venti giorni rilassata senza abbuffarmi e poi vengo qui e compro tutto.”
Soddisfatta passo al salato: guardo sofficini impanati e ripieni al formaggio; guardo il gorgonzola, i formaggi cremosi, il pane morbido da riempire di salse, Philadelphia, salumi, formaggio fuso, mozzarella, olio e sale, burro di arachidi e tutte le porcherie che vi vengono in mente.
(beh, gli altri scelgono il film da vedere al cinema ed io la roba con cui abbuffarmi. Ad ognuno il suo!)
Torno a casa e mangio un piattino di lenticchie, la minestra napoletana (sarebbe una verdura tipo cime di rapa) e una mela.
Continuo a fantasticare sulla prossima abbuffata, mentre immagino come sarebbe bello evitarla.
Sono tormentata, divisa, spaccata in due, lacerata nel petto.
Guardo il mio corpo e lo voglio sottile, voglio pesare quarantasette chili, almeno, voglio uscire a mangiare una pizza solo un sabato sera, voglio poter pranzare con il mio ragazzo e restringere gli altri giorni.
Vorrei un equilibrio, ma contemporaneamente voglio scofanarmi tutto il cibo del mondo, riempirmi fino a piangermi addosso, fino a rotolare, voglio odiarmi e ricominciare di nuovo da capo.
Ho smesso di abbuffarmi venerdì, mi sono sgonfiata sebbene siano SOLO cinque giorni.
Voglio superare i venti, ma contemporaneamente desidero con tutta me stessa tutta quella roba di cui ingozzarmi, di cui pentirmi, di cui piangere.
Voglio arrivare per l’estate con un sacco di chili in meno, e vedo che se decido ce la faccio (ora non abbuffarmi è più semplice, e mangio moooolto poco, pochissimo, e sto moooolto bene, moltissimo); ma contemporaneamente voglio divorare ogni cosa, voglio divorare tutto.
La mia misera e stupida vita è attraversata da questi drammi.
Seriamente? No, ma davvero?
Con il cervello che mi sento potrei conquistare il mondo!, ed invece sono qui a tormentarmi tra gli scaffali rinunciando al compromesso “Un pezzetto di questo”. Non è questione di voglie, di piccoli sfizi: voglio intenzionalmente abbuffarmi.
Credo che io voglia smettere di abbuffarmi perché dimagrirei e quindi potrei abbuffarmi di nuovo.
Si, credo sia così.
Ma voi pensate davvero che il binge sia una malattia? O forse è una bulimia/anoressia trasformata in qualcosa di più sano, o meglio meno pericoloso?
Perché io mi sono ammalata di anoressia, io mi sono sempre identificata con l’anoressia, io ero quella magra. Ed ora non lo accetto. Non accetto tutto questo eccessivo desiderio di cibo; ma più che il desiderio, non accetto che io possa pensare di poterlo soddisfare.
Mi sento una completa idiota. Sto qua davanti alla scrivania e penso al cibo e parlo di cibo e corpo; oggi ho fatto la verifica su “Mastro-don Gesualdo” che ho letto con furia tra ieri e l’altro ieri, otto ore e passa filate, fino alle due di notte: il mio professore ci mette frasi dal libro da contestualizzare (cosa accade prima, cosa dopo), una critica da commentare e domande generali come la figura femminile nel romanzo, o il ruolo del paesaggio, o la scalata sociale e il tema dei vinti.
Povero Gesualdo, mi ha ricordato un sacco mio padre.
La cosa che mi fa ridere è che nel libro venivano descritte la moglie e la figlia: entrambe magrissime, scarne, entrambe fragili, entrambe dannatamente secche.
Mi facevo ridere da sola ad essere invidiosa di loro, sono proprio pazza.
Perché un’anoressica deve ammalarsi di binge? Io vorrei tanto guarire, però me lo chiedo spesso, spessissimo.
Cosa è successo che mi ha fatta ingrassare? Dove ho sbagliato?
Forse devo semplicemente dimagrire quanto basta per desiderare di dimagrire ancora. Da grassi è più difficile trovare la grinta per dimagrire. Ma quando sei magra, cazzo, niente e nessuno deve portarti via quello che hai! È il ragionamento che facevo io. Mi spiego: quando ero magra non mi abbuffavo (ovviamente) perché non volevo assolutamente ingrassare, un etto si vedeva come dieci chili. Adesso è diverso, perché mi dico che tanto sono grassa, che ormai nessuno più ci fa caso, che poi dimagrisco, che ho tempo, tutta la vita davanti e queste stronzate.
Devo semplicemente perdere i primi dieci chili, arrivare a cinquanta e poi il gioco è fatto: credo che, almeno ricordando come era prima, vedendomi così magra mi passerà la voglia di strafogarmi.
Per ora sto qui a ripetere le stesse cose noiose mentre sorrido perché non mi abbuffo, e mi dispero perché ho una terribile voglia di farlo.
Uffa.
giovedì 12 marzo 2015
La giostra dell' inettitudine.
È iniziato tutto questa mattina, lo sapevo.
Ho fatto un sogno orribile: ho sognato di rimanere sveglia tutta la notte. Quando finalmente, nel sogno, mi mettevo a dormire, è suonata la sveglia.
Immediatamente ho pensato che è ciò che provo ogni secondo della mia vita: la sensazione di non aver dormito, e di pensare finalmente di addormentarmi quando è il momento di svegliarmi. (Tradotto nel linguaggio comune, combatto continuamente contro il mio dca, principalmente, e quando finalmente penso di aver intrapreso la strada giusta e aver trovato un equilibrio, scopro invece che è il momento di alzare il culo e combattere, di nuovo, ancora.)
Come quando studi una settimana intera per un compito difficilissimo, o un esame impossibile, arriva finalmente il momento in cui te lo togli, e scopri che due giorni dopo ne hai un altro ancora più complesso. E invece di tornare a casa a festeggiare, ti sbatti sui libri, di nuovo.
Ho capito, con questa riflessione, che sarebbe stata una giornata di merda. Giuro che mi sono svegliata con una stanchezza terribile, proprio come se non avessi dormito.
Sono andata a scuola: sabato scorso ho avuto la simulazione di terza prova: consegna di inglese: 10. Consegna di biochimica: 9.
Non ho nemmeno esultato, perché come vi ho detto avevo quella sensazione addosso che non mi permetteva di festeggiare. Infatti, pensavo già al compito di lunedì e a quello di martedì, per i quali studierò domenica notte visto che sabato e domenica ho un ritiro con i miei bambini di cui sono animatrice, fanno prima media, e dormiremo tutti insieme.
Esco da scuola con questa orrenda sensazione addosso, mangio un toast e accompagno la mia amica al consultorio perché dopo due settimane di rapporti con un ragazzo che conosce da due mesi scarsi, ha deciso di prendere la pillola.
Non c’è un posto al mondo in cui noi inetti possiamo stare in pace: ci sarà sempre qualcosa che ci chiederanno di fare e che noi non sapremo affrontare.
E come sempre, mi sono sentita male. Non quel male che sai che passa, non un fastidio leggero: il male di vivere.
L’ho sentito dimenarsi nel petto e spingere per uscire, e seduta davanti a quella sedia di quella ginecologa con la mia amica accanto avrei voluto urlare che non è giusto, avrei voluto strapparmi il cuore perché sono una stupida inetta, una cretina, una fallita!
In quel momento mi sono sentita la puttana del mio ragazzo, scusate, lasciatemi sfogare perché non so cosa fare: sono tornata a casa con l’intenzione di abbuffarmi e non so se lo farò, mi sono detta “Scrivo su blogger, ci provo, magari non mi abbuffo” ma è difficile, ho una carica emotiva enorme e non riesco nemmeno a mettere in ordine quello che provo…
Io ho rapporti con il mio ragazzo da un anno, e sono due e qualche mese che stiamo insieme: usiamo il preservativo. Perché non riesco a fidarmi della pillola e ho sempre pensato di essere troppo giovane, ho sempre pensato che fosse una decisione importante, da prendere con coscienza, quando fossi stata sicura di lui e quando un “incidente” non sarebbe stato la fine del mondo.
Invece a quanto pare sono la solita cretina, la solita figlia di puttana che si costruisce mille castelli e invece la prima amichetta che si scopa un ragazzo (fidanzato, tra l’altro!!) da due settimane decide di prendere la pillola.
E mi parla da donna vissuta dicendo che lei vuole una cosa stabile, che la pillola è più sicura, ed io la ascolto, muta, come al solito, pensando che sono la puttana del mio ragazzo.
Già, perché il preservativo è da rapporto occasionale secondo lei, ed io sono talmente inetta da non essere in grado nemmeno di vivere un rapporto con serenità e sicurezza senza che sia “occasionale”.
Ho pianto come una scema per un motivo ancora più scemo di me, ho pianto e urlato e ho una voglia di abbuffarmi che mi fa spingere le lettere sulla tastiera con una forza che le distruggerebbe; sono disperata nella mia disperazione per non so quale cazzo di motivo.
Non sono contenta del 10 di inglese, del 9 di biochimica (mai preso in vita mia ma il mio ragazzo fa medicina e mi ha spiegato tutto con amore, un santo, davvero, un angelo), non sono mai contenta di niente.
Tutto mi rende insoddisfatta, frustrata, triste, arrabbiata, tutto mi rende infelice!
Ogni cosa mi fa sentire una merda, è la sensazione peggiore al mondo, cazzo! Credo che mi abbufferò.
L’ho scritto oggi pomeriggio, e subito dopo ho chiuso il computer con furia e mi sono abbuffata.
Sento che sono risalita sulla giostra. Un’ abbuffata distrugge tutto, però anestetizza il dolore. Ho pianto e ho provato a vomitare ma è arrivato mio padre, così disperata e triste ho scritto al mio ragazzo, gli ho scritto che ho mangiato come un bue e non ho vomitato, e lui è corso da me.
Siamo stati tutto il pomeriggio a guardare video scemi su youtube: io dovrei studiare, ma non ce l’ho fatta.
Abbiamo riso, abbiamo parlato, mi ha abbracciata, sono stata bene perché sono innamorata di lui.
E di nuovo, da domani, inizia la battaglia.
Ho fatto un sogno orribile: ho sognato di rimanere sveglia tutta la notte. Quando finalmente, nel sogno, mi mettevo a dormire, è suonata la sveglia.
Immediatamente ho pensato che è ciò che provo ogni secondo della mia vita: la sensazione di non aver dormito, e di pensare finalmente di addormentarmi quando è il momento di svegliarmi. (Tradotto nel linguaggio comune, combatto continuamente contro il mio dca, principalmente, e quando finalmente penso di aver intrapreso la strada giusta e aver trovato un equilibrio, scopro invece che è il momento di alzare il culo e combattere, di nuovo, ancora.)
Come quando studi una settimana intera per un compito difficilissimo, o un esame impossibile, arriva finalmente il momento in cui te lo togli, e scopri che due giorni dopo ne hai un altro ancora più complesso. E invece di tornare a casa a festeggiare, ti sbatti sui libri, di nuovo.
Ho capito, con questa riflessione, che sarebbe stata una giornata di merda. Giuro che mi sono svegliata con una stanchezza terribile, proprio come se non avessi dormito.
Sono andata a scuola: sabato scorso ho avuto la simulazione di terza prova: consegna di inglese: 10. Consegna di biochimica: 9.
Non ho nemmeno esultato, perché come vi ho detto avevo quella sensazione addosso che non mi permetteva di festeggiare. Infatti, pensavo già al compito di lunedì e a quello di martedì, per i quali studierò domenica notte visto che sabato e domenica ho un ritiro con i miei bambini di cui sono animatrice, fanno prima media, e dormiremo tutti insieme.
Esco da scuola con questa orrenda sensazione addosso, mangio un toast e accompagno la mia amica al consultorio perché dopo due settimane di rapporti con un ragazzo che conosce da due mesi scarsi, ha deciso di prendere la pillola.
Non c’è un posto al mondo in cui noi inetti possiamo stare in pace: ci sarà sempre qualcosa che ci chiederanno di fare e che noi non sapremo affrontare.
E come sempre, mi sono sentita male. Non quel male che sai che passa, non un fastidio leggero: il male di vivere.
L’ho sentito dimenarsi nel petto e spingere per uscire, e seduta davanti a quella sedia di quella ginecologa con la mia amica accanto avrei voluto urlare che non è giusto, avrei voluto strapparmi il cuore perché sono una stupida inetta, una cretina, una fallita!
In quel momento mi sono sentita la puttana del mio ragazzo, scusate, lasciatemi sfogare perché non so cosa fare: sono tornata a casa con l’intenzione di abbuffarmi e non so se lo farò, mi sono detta “Scrivo su blogger, ci provo, magari non mi abbuffo” ma è difficile, ho una carica emotiva enorme e non riesco nemmeno a mettere in ordine quello che provo…
Io ho rapporti con il mio ragazzo da un anno, e sono due e qualche mese che stiamo insieme: usiamo il preservativo. Perché non riesco a fidarmi della pillola e ho sempre pensato di essere troppo giovane, ho sempre pensato che fosse una decisione importante, da prendere con coscienza, quando fossi stata sicura di lui e quando un “incidente” non sarebbe stato la fine del mondo.
Invece a quanto pare sono la solita cretina, la solita figlia di puttana che si costruisce mille castelli e invece la prima amichetta che si scopa un ragazzo (fidanzato, tra l’altro!!) da due settimane decide di prendere la pillola.
E mi parla da donna vissuta dicendo che lei vuole una cosa stabile, che la pillola è più sicura, ed io la ascolto, muta, come al solito, pensando che sono la puttana del mio ragazzo.
Già, perché il preservativo è da rapporto occasionale secondo lei, ed io sono talmente inetta da non essere in grado nemmeno di vivere un rapporto con serenità e sicurezza senza che sia “occasionale”.
Ho pianto come una scema per un motivo ancora più scemo di me, ho pianto e urlato e ho una voglia di abbuffarmi che mi fa spingere le lettere sulla tastiera con una forza che le distruggerebbe; sono disperata nella mia disperazione per non so quale cazzo di motivo.
Non sono contenta del 10 di inglese, del 9 di biochimica (mai preso in vita mia ma il mio ragazzo fa medicina e mi ha spiegato tutto con amore, un santo, davvero, un angelo), non sono mai contenta di niente.
Tutto mi rende insoddisfatta, frustrata, triste, arrabbiata, tutto mi rende infelice!
Ogni cosa mi fa sentire una merda, è la sensazione peggiore al mondo, cazzo! Credo che mi abbufferò.
L’ho scritto oggi pomeriggio, e subito dopo ho chiuso il computer con furia e mi sono abbuffata.
Sento che sono risalita sulla giostra. Un’ abbuffata distrugge tutto, però anestetizza il dolore. Ho pianto e ho provato a vomitare ma è arrivato mio padre, così disperata e triste ho scritto al mio ragazzo, gli ho scritto che ho mangiato come un bue e non ho vomitato, e lui è corso da me.
Siamo stati tutto il pomeriggio a guardare video scemi su youtube: io dovrei studiare, ma non ce l’ho fatta.
Abbiamo riso, abbiamo parlato, mi ha abbracciata, sono stata bene perché sono innamorata di lui.
E di nuovo, da domani, inizia la battaglia.
domenica 8 marzo 2015
La solita vita del cazzo.
Che vita del cazzo.
Ho scritto miliardi di post tutti salvati sul pc in cui ero immensamente felice per Riccardo che è stato operato e per me che non mi abbuffavo ma infine cazzo infine è sempre la stessa vita del cazzo.
Stamattina mi sono svegliata e non ci credevo, non potevo crederci, non poteva essere successo porca puttana, venti giorni in cui non mi sono abbuffata, VENTI buttati nel cesso così, per niente, come una stupida perché la stupida qui presente si è ingurgitata due tavolette di cioccolato bianco, un pacco da 10 cornetti alla crema, pane e formaggio, amaretti, biscotti schifosi e ha pure cenato con la pasta, il pane, pensate ad un cibo e vi giuro che l'ho divorato.
E potete sgridarmi, pensare che sono un'idiota, fatelo, fatelo.
Questa mattina mi sono svegliata e ho pensato "non è possibile che sei così CRETINA, così idiota, così stupida, ma cazzo, sei una merda!" mi sono fatta la doccia apatica e non capivo un cazzo, non è possibile, maledizione! Sono così infuriata, accecata dalla rabbia, non vedo un cazzo!
Ci credevo questa volta.
E non doveva succedere... Perché sono capitata in una testa così e in un corpo così maledettamente grosso?
Sono una cretina, non c'è altra spiegazione.
Ho una rabbia in tutto il sangue, cazzo, cazzo! Ma perché?
Sono una miseria di persona, un'incapace, una stronza.
Che vita del cazzo. Era così bello non abbuffarsi... Svegliarsi e non Dover rimediare, rimediare, il mio fottuto destino è rimediare, rimettere insieme i pezzi.
E non è stato uno sgarro. Non è stato un errore.
È stata un'abbuffata spaventosa, megagalattica.
E non ho piu la forza.
Non ho mangiato un cornetto: ne ho mangiati dieci.
Altre porcate perché mi faccio schifo.
Che vita del cazzo.
Ho scritto miliardi di post tutti salvati sul pc in cui ero immensamente felice per Riccardo che è stato operato e per me che non mi abbuffavo ma infine cazzo infine è sempre la stessa vita del cazzo.
Stamattina mi sono svegliata e non ci credevo, non potevo crederci, non poteva essere successo porca puttana, venti giorni in cui non mi sono abbuffata, VENTI buttati nel cesso così, per niente, come una stupida perché la stupida qui presente si è ingurgitata due tavolette di cioccolato bianco, un pacco da 10 cornetti alla crema, pane e formaggio, amaretti, biscotti schifosi e ha pure cenato con la pasta, il pane, pensate ad un cibo e vi giuro che l'ho divorato.
E potete sgridarmi, pensare che sono un'idiota, fatelo, fatelo.
Questa mattina mi sono svegliata e ho pensato "non è possibile che sei così CRETINA, così idiota, così stupida, ma cazzo, sei una merda!" mi sono fatta la doccia apatica e non capivo un cazzo, non è possibile, maledizione! Sono così infuriata, accecata dalla rabbia, non vedo un cazzo!
Ci credevo questa volta.
E non doveva succedere... Perché sono capitata in una testa così e in un corpo così maledettamente grosso?
Sono una cretina, non c'è altra spiegazione.
Ho una rabbia in tutto il sangue, cazzo, cazzo! Ma perché?
Sono una miseria di persona, un'incapace, una stronza.
Che vita del cazzo. Era così bello non abbuffarsi... Svegliarsi e non Dover rimediare, rimediare, il mio fottuto destino è rimediare, rimettere insieme i pezzi.
E non è stato uno sgarro. Non è stato un errore.
È stata un'abbuffata spaventosa, megagalattica.
E non ho piu la forza.
Non ho mangiato un cornetto: ne ho mangiati dieci.
Altre porcate perché mi faccio schifo.
Che vita del cazzo.
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