lunedì 20 luglio 2015

Post di transizione.

Sento freddo, silenzio e fantasia.
Il sole spento in una indifferenza indistinta, di tante facce uguali e inconsapevoli
e ugualmente inconsapevoli.
Rifletto sulla vicenda che ricorderanno: la chiameranno "campo", la racconteranno e solo allora diventerà tale, e poi vi faranno un altarino.
Ho investito su una mente sola.
Questa mattina mentre parlavo ho sentito che esistevo, che c'ero.
Non ho idea di dove io sia adesso: solo vorrei questo momento si perpetuasse, in solitudine apparente ed io sto sulla superficie, questa volta non mi circonda nessuno.
Solo ho provato a parlare, mi sono fermata perché hanno provato a capirmi.
SCONCERTANTE.
Rabbia.
Fuga.
Ad un'ora certa mi spengo, e gli altri mi premono: per quanto li odi li amo e provo ad odiarli meno, a cercare un altro senso in loro e in realtà, il tipo di qualcuno che senta il niente.
Dietro le cose percepisco un insolito suono di una fortuna scocciata, come di inserire aggettivi che lentamente vengono creati e, allora, devono restare.
Il restare quello dell'essere nuove cose in mezzo agli altri, a preparare insulti e risposte alle domande, e nuove domande e poi scegliere chi chiede e chi risponde.

Si è alzato il vento. Di un uomo che singhiozzava: e la colpa era ahimè di un altro!
Ho sentito le sue scuse lontane, suonavano giustificazioni strane. Io non le comprendo.
In realtà comprendo tutto, e questo vittimismo generale mi ferisce, mi spaventa. Temo di venirne contagiata, e qualcuno potrebbe morire.

Cosa cercano?
Io lo chiedo. Io. Una persona. L'anima. Che fa delle cose E NON PIACCIONO.

Ora vorrei qui il mio libro, La nausea. Perché sono un granchio anche io, non un uomo come tutti vedevano.
Un granchio che cammina all'indietro.

AVETE RAGIONE in ciò che dite, sono carnefice e non vittima come tutti vorrebbero vedermi. So far star male ed io non subisco in silenzio, faccio anche io i drammi e sento le ferite solo che
mi annoio, ecco tutto.
Di una noia profonda, del profondo animo e il profondo centro del cervello.

Paura di questi umani. Sono una di loro e mi ci comprometto.
Come DEVO comportarmi?
Sono decisamente interessata a saperlo.
Decisamente. Mi piacciono gli altri: e come si muovono, e come ridono, e come giudicano e come mi parlano e come mi consigliano.

Io sono un'ottima consigliera, il pessimo esempio perfetto e preciso di UOMO.

Mi trema la mano. Trema come un corpo, come somatizzassi. Ho sentimenti puramente umani.
Il mio proposito mi inchioda al suolo, così posso conversare con gli umani e dire loro delle cose, porgere loro alcune scuse, sigillare i silenzi perché
vogliono sapere cos'ho.

COS'HO?
Sono.
E se lo  dicessi ad alta voce mi accorgerei che la logica è altra cosa.
Chissà perché questa mattina mi vengono in mente tante cose?
Sono un umano pensieroso che si comporta male e fa piangere gli altri perché è nervoso e STRANO.
E si deve calmare.
Sono come e cosa gli altri mi
RITRAGGONO.
Altrimenti non sarei.

Io lo trovo MOLTO interessante.
Estremamente.
I comportamenti OMOLOGHI per omologarmi mi rendono loro, come loro, mi riconoscono.
Quelli diversi (da chi? da loro?)
li confondono.

Per esistere non devo confondere.
Che esistente sarei, se non fossi come mi hanno disegnata loro?
Se li sorprendessi?
SE IO FOSSI UN GRANCHIO?

è tutto finto. Io faccio, non penso.
Tutte queste parole sono parole.
Non prendono vita seriamente.
Sono pazza, ma in realtà sono come loro.

E' TUTTO NELLA MIA MENTE.
LORO MI SANNO, ERGO SUM. (?!)

Avrei ancora tantissime cose da dire, ma non riesco a pensare più a niente.
Sono soddisfatta.


"Come mi sento distante da loro, dall'alto di questa collina. Mi sembra d'appartenere ad un'altra specie. Escono dagli uffici, dopo la loro giornata di lavoro, guardano le case e le piazze con un'aria soddisfatta, pensano che è la loro città, una «bella città borghese». Non hanno paura, si sentono a casa loro. Non hanno mai visto altro che l'acqua addomesticata che esce dai rubinetti, che la luce che sprizza dalle lampade quando si preme l'interruttore, che gli alberi meticci, bastardi, che vengono sorretti con i pali. Hanno la prova, cento volte al giorno, che tutto si fa meccanicamente, che il mondo obbedisce a leggi fisse e immutabili. I corpi abbandonati nel vuoto cadono tutti con la stessa velocità, il giardino pubblico viene chiuso tutti i giorni alle sedici d'inverno, e alle diciotto d'estate, il piombo fonde a 335° gradi, l'ultimo tram parte dal Municipio alle ventitré e cinque. Son pacifici, un po' melanconici, pensano a Domani, cioè, semplicemente, ad un altro oggi; le città non dispongono che d'una sola giornata che ritorna sempre uguale ogni mattina.
La s'impennacchia un po' la domenica.
Che imbecilli. Mi ripugna il pensare che sto per rivedere le loro facce ottuse e piene di sicurezza. Legiferano, scrivono romanzi populisti, si sposano, hanno l'estrema stupidità di fare figli.
E frattanto la grande natura incolta s'è insinuata nella loro città, s'è infiltrata dappertutto, nelle loro case, nei loro uffici, in loro stessi. Non si muove, si mantiene ferma in essi, essi vi stan dentro in pieno, la respirano e non la vedono, credono che sia fuori, a venti miglia dalla città.
Io la vedo, questa natura, la vedo... So che la sua sottomissione è pigrizia, so ch'essa non ha leggi: quella che scambiano per la sua costanza...
Non ha che abitudini, e le può cambiare domani.
[...]
O anche, niente di tutto questo succederà, non vi sarà alcun cambiamento apprezzabile, ma la gente, una mattina, aprendo le persiane, sarà sorpresa da una specie di senso orribile, pesantemente posato sulle cose, e che sembrerà aver l'aria d'attendere. Null'altro che questo: ma per poco che questo duri vi saranno suicidi a centinaia. Ebbene, sì! Che tutto questo cambi un poco, non domando di meglio. Se ne vedranno altri, allora piombati bruscamente nella solitudine. Uomini completamente soli, solissimi, con orribili mostruosità, correranno per le strade, passeranno pesantemente davanti a me, con gli occhi fissi, fuggendo i loro mali e portandoli con sé, con la bocca aperta e la loro lingua-insetto che sbatterà le ali. Allora io creperò dalle risa, anche se il mio corpo sarà coperto di luride croste sospette che sbocceranno in fiori di carne, in viole, in ranuncoli. M'addosserò ad un muro, e griderò al loro passaggio: - Che ne avete fatto della vostra scienza? Che ne avete fatto del vostro umanitarismo? dov'è andata a finire la vostra dignità di canna pensante? - Io non avrò paura - o almeno, non più che in questo momento. Forse che ciò non sarà pur sempre esistenza? delle variazioni sull'esistenza? Tutti quegli occhi che mangeranno lentamente un volto saranno di troppo, senza dubbio, ma non più dei due primi. E' dell'esistenza che ho paura.
Scende la sera, nella città s'accendono le prime lampade. Mio Dio!
Che aria naturale ha la città, come sembra schiacciata dalla sera, nonostante tutte le sue geometrie.
E' talmente... evidente, da qui,

possibile che io sia il solo a vederlo?"


3 commenti:

  1. Si odia sempre chi prova ad aiutarci a rimuovere qualcosa da cui non siamo pronti ad uscire; alcuni tentano di aiutare sè stessi, aiutando te. Altri lo fanno perchè ci tengono veramente, il che è ancora più spaventevole. Rappresentano la prova che ci sbagliamo...scombussolano il sistema mentale. Allora ci arrabbiamo.
    Noi strani siamo qui a posta; seminiamo dubbi. I più ne sono terrorizzati. Ma abbi pazienza e non limitarti...una manciata di semi cadrà in un terreno fertile. Le tue parole non sono aride. Verranno raccolte e, se avrai pazienza, vedrai crescere uno splendido albero, ne assaporerai i frutti. La pazienza è tra le più grandi delle virtù; abbi pazienza, Sybil. La pazzia è illuminazione...ma per vedere, per *essere* luce, dobbiamo imparare a danzare con le ombre.
    Tu adesso stai danzando con le ombre.
    Questa macabra danza non durerà per sempre; per quanto lugubre e grottesco possa sembrarti, e per quanto insolito sembri quanto sto per dirti, cerca di essere presente in ogni momento. Non perderti neanche un secondo a fantasticare sul futuro, o sul passato. Un giorno tutto ciò ti sarà utile...e sarai grata a te stessa per aver avuto il coraggio di essere passata attraverso le fiamme, anzichè decidere di rimanerne circondata, e morire soffocata.

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  2. Come al solito ai tuoi post non so cosa rispondere, se dire soltanto "vero" o scrivere per ore.
    Sono iperstimolata, come un bambino vispo al museo della scienza. Ogni riga mi fa venire in mente qualcosa che vorrei dire, e poi tutto si confonde è tutto sembra superfluo.
    Mi hanno colpito due cose, più di tutto. La prima: l'idea di essere carnefice e non vittima, come siamo solite pensare. Io ho sempre saputo di fare del male agli altri, lo sapevo prima di cominciare a farlo, lo so ora che cerco di farne il meno possibile. L'egoismo del dca è talmente soverchiante che si finisce per diventare persone disgustosamente egotiste incapaci di vedere al di là del proprio naso, immuni alla sofferenza altrui perché assuefatti alla propria. Sapevo quanto male avrei potuto fare ai miei amici, ai miei genitori, perché avevo vissuto l'esperienza di M., le sue bugie, le sue cattiverie, le sue meschinità, e sapevo che mi sarei trasformata in una seconda M., più consapevole e per questo ancor più imperdonabile. Noi ci pensiamo sempre come vittime di un mondo che non ci capisce, ma in realtà siamo le prime ad isolarci sulla torre d'avorio dell'incomprensione, perché sentirci vittima ci rassicura e ci conforta delle sciocchezze che commettiamo.
    La seconda, riferita al testo che riporti. Ogni tanto cammino in città all'ora di punta e guardo le facce della gente indaffarata che sale sul tram, scende dal bus, s'infila nel taxi e mi chiedo quanti di loro siano avvelenati dai pensieri che angosciano me. Quanti pensano a cosa mangeranno quella sera, e la sera dopo, e la sera prima, e quanti invece giocano a candy crush con la faccia di chi si lascia scivolare tutto addosso. Io li invidio molto quelli che hanno le loro piccole certezze, le loro rassicuranti routine borghesi e non pensano alla noia, e dunque non la provano, o provano quella forma di noia bonaria di chi aspetta il proprio turno alla posta.
    Ho detto più di quel che volevo dire, un abbraccio!

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  3. Come Euridice io non so mai cosa commentare di fronte a post del genere, mi sembra tutto noiosamente banale e per niente al livello di questo post, eppure ad ogni parola mi si scatenano tutta una serie di pensieri, amo il tuo modo di scrivere perché mi apre la mente, perché è confortante ritrovarsi nelle parole di qualcun'altro, mi verrebbero sempre mille cose da dire ma poi si accavallano e si confondono e perdono di senso.
    Quanto è vero, io rimango interdetta quando qualcuno prova a capirmi, e in quel momento vorrei fuggire...
    "I comportamenti OMOLOGHI per omologarmi mi rendono loro, come loro, mi riconoscono.
    Quelli diversi (da chi? da loro?)
    li confondono"
    ...
    Su questa frase non c'è proprio nient'altro da dire, se non che sono rimasta SCIOCCATA, io mi sento così, loro mi riconoscono solo se mi omologo a loro, entro nella loro dimensione e allora sono un essere comprensibile, ma solo perché in quel momento mi OMOLOGO a loro. Quelli diversi da loro non li riconoscono davvero, e non può che essere così...
    " Loro mi sanno, ergo SUM"
    questa è praticamente la storia della mia vita, loro mi sanno, mi sanno in un certo modo, ed io sono in quel modo, esisto in funzione di come loro mi ritraggono, e questo mi fa sentire molto limitata... Se provassi a sorprenderli penso che la mia esistenza si annullerebbe, per questo non ne ho mai il coraggio.
    Probabilmente non ha senso quello che ho scritto, anzi sicuramente, ma praticamente hai detto tutto ciò che penso anch'io e per cui continuo a fare certi errori.
    Mi piace pensare di essere il carnefice, e penso che Euridice abbia detto tutto...
    Sei fonte di ispirazione e riflessione, le tue parole mi incanto e hanno quella chiarezza, quella chiarezza in cui mi ritrovo leggendo un libro di filosofia, quella chiarezza che io non riuscirei a esprimere neanche se volessi, è tutto così VERO, ecco.
    <3 <3 <3

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