giovedì 17 settembre 2015

Alimentare un disturbo e straniamento.

Premetto che ho letto tutti i vostri commenti e li ho applicati: ho parlato con la Responsabile, le ho detto tutto ed anche che l'anno prossimo lascerò se le cose si mettono così, se non posso rimanere con i miei ragazzi, ma non è servito a nulla.
Così svolgerò questo nuovo compito e poi, probabilmente, lascerò.

Ma adesso non è di questo che volevo parlarvi.
Ho letto tutti i vostri blog commentando qui e là, in uno stato di inettitudine spaventoso.
Ho saputo che i corsi iniziano il 28 settembre ed io, nel frattempo, avrei potuto fare un sacco di cose: andare a correre, mangiare cibo sano, dimagrire, ed arrivare a quel giorno con molti kg in meno e molti pensieri (?) in meno.

Invece... invece mi sono abbuffata quasi sempre per smettere finalmente la settimana scorsa, mettendomi in riga ma senza toccare né cyclette, né scarpe da ginnastica.
Solo lunghe passeggiate e preparativi per il compleanno del mio ragazzo, che è stato ieri.
Ho il rifiuto, una specie di nausea e stanchezza quando guardo la cyclette.
Sapete, non è facile vedere sulla bilancia 67.5 dopo aver trascorso un anno tra abbuffate e cyclette.
Odio le abbuffate, odio la cyclette.

Invece dovrei muovermi, correre, correre, camminare, pedalare.
Sapete cosa faccio?
Leggo.
Da agosto ho letto quattro libri, persino Sei personaggi in cerca d'autore, così, perché mi incuriosiva, e per farlo sapete cosa mi è venuto in mente?
Ho pescato dallo scatolone del capitolo "Liceo" il libro di letteratura e mi sono studiata Pirandello, perché ho pensato che non avrebbe avuto senso leggere quel libro senza avere prima rinfrescato la memoria.
Finito Pirandello, finiti i libri, non sapevo più cosa fare.
Allora, per alimentare la mia assoluta svogliatezza nei confronti delle scarpe da ginnastica, ho sfogliato il libro ed ho iniziato a studiare Alberto Moravia.
Non l'abbiamo trattato nel programma ma sul libro c'era.
Ho iniziato a leggere biografia, clima culturale, estratti di libri e sono andata in libreria a comprare "Gli indifferenti" e "La noia".

Tra tutto ciò la sorpresa più bella me l'ha fatta il mio ragazzo, dicendomi che "Leggi sempre libri tristi e dello stesso genere. La tua tristezza mi CONTAGIA."
è stato il massimo, perché a me il suo ottimismo non contagia affatto: che abbia una repressa vena pessimista che io porto a galla con le mie letture tristi?

Inutile spiegare che i miei libri non sono tristi, che io sono solo una sconclusionata che ne vuole sapere di più ma continua a girare attorno a cose che già sa.

Non voglio vivere nei miei libri ma lentamente sta accadendo.
Ho ultimamente capito che devo adattarmi, e nel libro che sto leggendo ne ho trovato la conferma.

"La perdita di contatto con la vita.
Dal momento che il mondo non sembra poter mutare, dal momento che l'esistenza, prima ancora del personaggio, replica sempre i modi uniformi della sua miseria, secondo un ritmo incorreggibile, dal momento che la società in cui si vive appare tanto salda da potersi considerare immodificabile ancora nella propria struttura come nella propria sostanza morale, non rimane altra alternativa che questa:
o preservare, da puri spettatori, sdegnosamente ma inattivamente, la propria fittizia innocenza, e salvare la coscienza etica sopra la povera scialuppa di una vera impotenza di fatto,
oppure approdare, oltre ogni vano sforzo di resistenza, a un normale adattamento, senza inutili clamori e senza inutile disperazione, stipulando il proprio contratto sociale, rivestendo la propria naturale maschera, al fine di essere una persona viva, come tutti gli altri, né meglio né peggio, in ultima analisi."


"se qualcosa resta in Michele di non impuro è proprio quella sua resistenza, astratta quanto ostinata, nel suo bovarismo, la sua sterile inibizione, rigorosamente traumatica, ad ogni adattamento: il suo vizio è una sola cosa con la sua virtù, con l'impotenza della sua indifferenza, che gli impedisce di ingannarsi così a fondo e così volgarmente come gli altri.
[...] qui Michele scopre una semplice verità, che se mai egli riuscisse a superare la propria indifferenza, cedendo al giuoco e alle lusinghe delle disponibili passioni falsificate,
credendo di credere,
volendo volere,
egli approderebbe sì, infine, alle spiagge della vita, ma di quella sola vitalità ormai sperimentabile che è la vitalità grottescamente irrigidita e automatica del fantoccio "stupido e roseo".
Se Michele rinunziasse alla sua inutile nostalgia, se cedesse alla illusione di un'autenticità socialmente bene adattata, se trasformasse il suo bovarismo in azione vera, la sua impotenza in buona volontà, Michele sarebbe semplicemente un Leo.
Partecipare alla concretezza del presente, del corrotto presente, guarire dai propri traumi di inibizione vitale, è possibile ormai soltanto a prezzo della propria corruzione: e reciprocamente, è possibile sottrarsi alla decadenza dell'esistere a patto di rifiutarsi, direttamente, alla vita.
E Michele, figura della nostalgia, è necessariamente, come si avvertiva, figura dell'impotenza.
Il suo essere indifferente è la ultima, miserabile forma di nobiltà etica che è concesso ritrovare all'interno di una classe che non ha più speranze di redenzione: è la nobiltà negativa dell'impartecipazione."

"Anzi, si può affermare che la rivolta di Michele è proprio per questo, nel mondo moraviano, una rivolta autentica: perché rimane nel limbo delle intenzioni e dei sentimenti, perché non precipita nella fatale distorsione pratica, che non si accontenterebbe davvero di spegnerla, ma la corromperebbe e la convertirebbe nel suo contrario."

So che questo post è pesante e noioso, so che dovrei lasciare andare questi pensieri non miei, so che dovrei smetterla di osservare le persone vivere e provare disgusto per qualsiasi discorso, so che dovrei smetterla di alternare il disperato bisogno di scappare e di pensare a quello ancor più disperato di adattarmi ed essere parte di quei discorsi.
Il cibo è l'unica cosa che mi tiene ancorata al terreno, insieme al mio ragazzo, per ora.

Ho perso la capacità di comunicare, ogni mio gesto mi appare meccanico e sfacciatamente falso.
Non capisco più chi sono, non riesco a capire se devo smettere di leggere, smettere di cercare quello che ho dentro fuori da me, smettere di trovarlo.

L'altro giorno mentre leggevo un pezzo de "La noia" mi sono messa a piangere. Ho provato un intenso desiderio di non essere, di uscire dal mondo, di non pensare più, di comunicare invece non riesco più a capire come facciano gli altri a vivere.
Io sento una pesantezza, non so più descrivere niente.
Scavo dentro di me per trovare faccende e discorsi "per terra", ed a volte ci riesco.
Non mi sento superiore, non mi sento più intelligente, mi sento solo stanca.
Eppure continuo a leggere leggere leggere, pensare sempre pensare, e penso a come è riuscito bene ieri sera il compleanno del mio ragazzo con il sushi e i cappellini stupidi con mia sorella ed il suo ragazzo, ma non basta, sento qualcosa, qualcosa dentro di profondamente distante da tutto questo.

Ho abbandonato il diario alimentare perché mi faceva stare male, e quando mi sento in questo modo terribile, fuori dal mondo, mi abbuffo per ritrovare il contatto con la realtà e ricordarmi chi sono e cosa faccio.

Ho un disturbo alimentare,
ed alimento il mio disturbo.

Ora dimagrire mi si presenta come un invitante obiettivo che non riesco a perseguire ma mi tiene impegnata, almeno un po'.

Non riesco a spiegare come mi sento, ma sento che la mia vita è riflettere.
Ho cliccato sul sito dell'università oggi ed ho letto per curiosità "Perché studiare filosofia?"
e tra tutto usciva la lista dei mestieri possibili (tre, se vi interessa) e tra questi c'era scritto
"Organizzatori di fiere, esposizioni ed eventi culturali
Organizzatori di convegni e ricevimenti"

cose nel mondo.
Saprò mai fare qualcosa nel mondo, io?
I miei pensieri nel mondo sono tutti i miei post, tutti i vostri, quelli in cui mi rivedo meravigliosamente e spaventosamente.
Ma poi ci sono questi pensieri.
Elaboro pensieri quando mi passa a prendere un amico per andare da qualche parte, quando mia madre si lava i capelli, quando preparo il compleanno al mio ragazzo.
Penso penso penso in continuazione e non ce la faccio più.
Penso alle sensazioni che provano gli altri, al bisogno di comunicare che ho ed all'incomprensione ancora più profonda in cui sono immersa.

Incomprensione non come equivoco. Come impossibilità di dare una senso a ciò che cerco di spiegare.
Ma spiegarsi sta diventando inutile ed io non so come voglio diventare. Vorrei non diventare, oppure aver scelto una facoltà come architettura, o medicina, o biologia.
Una facoltà seria che mi possa tenere con i piedi per terra.
Invece ho scelto una facoltà che mi farà diventare pazza, me lo sento.

Sono troppo incline a creare situazioni immaginarie e sogni di ribellioni vane, e dialoghi impossibili.
Sto impazzendo.
Voglio solo adattarmi.

Solo dimagrire e tornare a pensare a domani sera che ordino la pizza per undici persone, faccio un'altra sorpresa al mio fidanzato.
Non penso che la vita sia una cosa mediocre, non più dei miei pensieri fastidiosi e continui.
Penso che la vita sia una cosa molto pesante, e penso che questo mio pensare faccia parte della vita.
Sono nella vita, non sono una creatura astratta o fatta di etere, come qualcuno mi diceva.
Sono nata, viva, penso perché qualche meccanismo nel mio cervello complesso mi permette di farlo.

E questo mi fa molto soffrire.

Magari qualcuna di voi avrà colto qualcosa.
Un abbraccio.

6 commenti:

  1. Ti do un consiglio, che poi è quello che sto cercando di mettere in atto io stessa.
    Visto che ora ti abbuffi (e sono anche io in quella fase) è inutile che stiamo qui a pensare a perdere kg per chissà quale data o fare 200 ore di sport...
    Sto provando prima di tutto a cercare di mangiare decente ed evitare di farmi prendere dalle abbuffate.
    Noi dobbiamo cominciare facendo un passo alla volta, io sono sempre stata quella del tutto e subito e il tutto e subito che mi ha fottuta.
    Ci vuole pazienza, passo dopo passo, un giorno magari ti fai una passeggiata alla cazzo per negozi e poi magari trovi la voglia di metterti a fare sport in maniera sana e così anche per il cibo..comincia a non restringere ma ad ascoltare la tua pancia..quando è piena allora ti fermi..e quando senti che il tuo stato emotivo ti porta a punirti con le abbuffate datti tempo prima di cominciare come una pazza ad ingozzarti ( ti parlo così perchè io faccio così..). Adesso non ti dico che ho evitato le abbuffate ma rispetto a prima sono più lucida in quei momenti e spesso riesco a dirmi: OHHHHH!! RIPIGLIATI! ,oppure al posto di mangiarmi 4000 calorie in 2 minuti dopo che mi sono mangiata 2 fette con la nutella riesco a fermarmi e capisco che così non faccio altro che sprofondare sempre di più..poi vabbè mi sento di merda uguale e piango,ma almeno non con 4000 calorie in più!

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    1. Ciao!
      Grazie per essere passata.
      Hai ragione, quello che mi frega è la fretta. Sono anni che mi dico che tra sette giorni peserò 25 kg in meno facendo la fame, e guarda caso sono proprio gli stessi anni in cui non solo non sono dimagrita, ma ho preso ben altri 7 kg.
      Eppure c'è qualcosa di magico e misterioso in quell'obiettivo costante, in quel bisogno di fare propositi e rifarli e rifarli ancora!
      Qualcosa di bellissimo nella catastrofe...
      Per esempio adesso mi sto riprendendo da una nuova abbuffata.. E già quasi non vedo l'ora di poterla rivivere per pormi nuovamente l'obiettivo di dimagrire.
      Questo è quello che mi tiene in piedi adesso, che mi impedisce di pensare più di tanto alla solitudine e all'incertezza che mi divorano.

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  2. Mamma mia... quante frasi potrei firmare col sangue di questo post.
    Io te lo dico sempre che siamo uguali ma fino questo punto inizio a spaventarmi!
    Come sai sento che pensi al cibo tanto quanto me, io sento davvero che sia l'UNICA cosa che mi tiene ancorata alla terra, tolta quella non so dove ,mi troverei e questa cosa mi spaventa tantissimo... io mi sorprendo quando faccio pensieri che non riguardano il cibo pensa! Non ci faccio nemmeno più caso, li elaboro ma mi sembrano solo un eco lontano che a mala pena riesco a sentire.
    Ieri ho sentito un cane ululare, mi sono accorta che faceva quel verso così strano solo quando una signora ha detto:"come abbaia strano questo cane!" eppure io lo avevo PENSATO, ma quanto contava quel pensiero rispetto al cibo? Nulla, era stato completamente annullato... La stessa cosa mi capita quando parlo con gli altri, quando faccio qualsiasi azione la faccio meccanicamente. Penso così tanto al cibo che gli altri pensieri manco li sento! Nemmeno il tempo di elaborarli che scompaiono di fronte al grande protagonista: IL CIBO:
    Io penso di alimentare continuamente il mio disturbo... Non posso farne a meno! Mi permette di vivere e come a te abbuffarti ricorda che ci sei per me è la stessa identica con la restrizione, vedi hai capito un'altra cosa!
    Penso al DCA quindi esisto... è la legge che regola la mia esistenza ormai!
    Tu pensi troppo, ma almeno quando leggi, forse per un secondo almeno nono, al pensi al cibo... ritrovi e te stessa, ed è sicuramente meglio che ritrovare se stessi nella malattia!
    Tu hai TANTISSIMO da comunicare *_*
    Sai già tutto ma DOVEVO commentare, scusa gli esempi stupidi e senza senso -.-"
    Sei meravigliosa.
    <3

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    1. Ti voglio bene..grazie di cuore per esserci sempre!
      Sei una persona meravigliosa..
      Non sai come comprendo ogni tua parola..

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  3. Io dico sempre che vorrei smettere di pensare. Tutto questo pensare, pensare, pensare (al peggio, naturalmente) è logorante. Non riesco a fermare i pensieri, che gira e rigira riguardano il cibo, anche quando apparentemente non c'entra nulla.
    Anche io vivo male le attese, per me sono solo dei vuoti, tempo perso in partenza che non provo mai ad investire. Mi capitava sempre di aspettare indolentemente l'inizio dei corsi per tutto il mese senza combinare nulla di "utile", e non si trattava neppure di godersi le vacanze, oziare. Era solo noia, passavo le giornate a fare nulla e a lamentarmi del fatto che non avevo nulla da fare, ero annoiata dalla noia, ma non riuscivo a fare nulla.
    Anche l'attesa della discussione per certi aspetti è logorante, perché potrei ripetere all sfinimento il discorso, prepararmi a rispondere a qualche domanda, rileggere tutta la tesi, ma non riesco a trovare la concentrazione per farlo, io lavoro bene sotto pressione, quindi forse devo solo aspettare che il tempo stringa per trovare la forza e la voglia di rimettermi a rileggere tutto e a provare a spiegare qualche punto un po' oscuro. Per adesso aspetto. Ascolto musica sulla ciclette, guardo vecchie foto, passo ore su amazon e booking immaginando cose da comprare e viaggi da fare è semplicemente aspetto che sia ora di fare qualcosa, intanto mi sento inutile. Infatti mi terrorizza l'idea che da ottobre la mia vita possa essere così per qualche mese. Impazzirei.
    Ti abbraccio e scusa per il commento un po' sconclusionato!
    Ti scrivo anche in privato,
    Un bacio!

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    1. Ti capisco.
      Questa mia incapacità di concludere le cose, questo mio lasciarmi andare senza fare nulla, solo pensando a cosa vorrei fare, a cosa non dovrei fare, a cosa faccio mi porta inevitabilmente a concentrarmi sul cibo.

      Pensare che non ho obiettivi nella mia vita, non ho sogni, non ho progetti che vorrei realizzare mi terrorizza.
      Ogni volta che questa consapevolezza mi sfiora rabbrividisco ed apro il frigorifero.
      Oppure vado a correre, come oggi, e aspetto domani per vedere se la bilancia mi regalerà di nuovo il 66.

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