mercoledì 29 aprile 2015

-

Ore 18.49: piango.
Oggi compio 19 anni e piango: non ricordo un compleanno senza che io abbia pianto, non negli ultimi sei anni.
Piango perché sono una persona di quelle che ne esistono poche, di quelle veramente e gravemente orribili.
Non voglio autocommiserarmi e mi dispiace veramente tanto se è quello che invece sembrerà dal mio post; alla fine è proprio così, è proprio vero:
Tutta l’arte deteriore è i risultato di buone intenzioni.
                                  
Piango perché io ed il mio ragazzo questa sera avevamo deciso di ordinare il sushi e guardare un film, e piango perché invece mia mamma ha organizzato altro che sarebbe una “sorpresa”, piango perché credevo di non poter più cenare con il mio ragazzo, piango perchè ho pianto e piango perché dopo due ore che piangevo con il mio ragazzo accanto lui mi ha detto che cenavamo insieme lo stesso. “Ah, ma cosa avevi capito? La nostra cena rimane illesa! La sorpresa è dopo cena!
E piango.
Piango perché non mi manca niente, piango perché il mio amatissimo e splendido ragazzo mi ha regalato con i miei amici un pacchetto per i musei di Firenze e piango perché domani partiamo e saremo solo io, lui e le opere d’arte.
Piango perché ho mandato via poco fa il mio ragazzo piangendo dicendogli che questa sera non voglio cenare con lui, non voglio il sushi, che non mi importa della sorpresa e che può tranquillamente non venire nemmeno. Piango perché lui è uscito dalla porta e se n’è andato a casa e non mi ha ancora scritto nemmeno un messaggio e piango perché continuo a piangere e perché sicuramente sarà una sorpresa bellissima ed io mi pentirò di essere stata così stupida, egoista e cattiva.
Piango perché ho conosciuto Kiki che è meravigliosa e grazie alla quale da dieci giorni non mi abbuffo, ed io piango.
Piango e continuo a piangere e non c’è niente che potrebbe farmi smettere di piangere adesso.

Piango perché sento la solitudine del mondo precipitarmi addosso.

Buon compleanno Cecilia.

sabato 18 aprile 2015

Conversazioni profonde

Ho scritto questo post tre giorni fa.

Sono le otto di sera.
Sono disperata: disperazione nelle ossa, nel cuore, nella carne, la depressione nei nervi e nei muscoli.
“Ti sei mai sentita profondamente infelice senza sapere perché?”, le scrivo.
Ebbene si.
Ho preso il telefono ed ho scritto ad una persona che esiste nella mia realtà, nel mondo che considerate voi. In quello che ci sta intorno. Ho scritto ad una mia compagna di classe, E.
Io e lei parliamo da anni, io e lei ci sentiamo diverse. Le uniche a voler fare della nostra vita il pensiero. Il troppo pensare, il tentativo vano di omologarci, amalgamarci, il desiderio di essere come gli altri.

Lei non ha un disturbo alimentare.

Mi risponde: “Troppe volte.”
Passa un minuto. “Cosa fai stasera?”
Panico. Per un secondo ho pensato di non aver capito la domanda: in che senso cosa faccio questa sera?
“Ho bisogno di parlare a voce con qualcuno. Mi sento troppo sola.”
A voce? Confronto? No. Ho cominciato a fare come al mio solito, rimandando, cercando un altro giorno, un altro momento, altro, altro, altro...
“Giovedì va bene?”, ho risposto.
“Non importa, lascia perdere. Per quel giorno mi sarà già passata.”

IO VOLEVO PARLARE. Io ho un disperato bisogno di parlare ma nessuno vuole veramente ascoltarmi profondamente e gliel’ho scritto, “Non me lo chiede mai nessuno VERAMENTE, usciamo.”

Ci siamo viste alle dieci in centro ed io l’ho trova su una panchina, con una birra vuota di fianco e una sigaretta in bocca, che piangeva, e ho provato una profonda comprensione. Si è alzata, ha buttato la birra, siamo andate in un parco isolato scavalcando la rete, ci siamo sedute sull’altalena e non sapevamo da dove cominciare.

Avevo paura che avrei rivelato tutto, che me ne sarei pentita, che in preda alla foga del momento io le avrei parlato delle mie abbuffate, del vomito, dello schifo, del cibo: pensavo di non essere in grado di sostenere una conversazione VERA con una persona che non soffrisse di dca.
Io ho sempre creduto di poter avere un rapporto vero solo con una persona come me, che vive le mie stesse cose anche se mi accorgo ogni giorno, tristemente, di essere sempre più sola indipendentemente da chi mi stia di fianco.
Mi ha detto che nessuno vuole veramente capirti, mi ha detto “Siamo universi a sé stanti. Ognuno ruota attorno al proprio sole; ed anche se possiamo scontrarci non entreremo mai in empatia, mai davvero”.

Ragazze, la testa di chi non ha un DCA  è magnifica. Per quelle due ore in cui siamo state insieme ho ignorato i mille messaggi di mia mamma, e l’ho ascoltata.
Abbiamo parlato di tutto: dell’impossibilità di esprimerci, della NAUSEA che proviamo nelle ossa, in mezzo alla gente, dell’insoddisfazione e della convinzione di essere nate nel mondo sbagliato.
Mi ha detto “Vorrei essere sola nel mondo, a volte. Io e nessun altro.”
Ho cercato di superare le barriere mentali del resto delle persone, quell’idea che senza gli altri non saremmo nulla, non siamo Dei, e ho provato a CAPIRLA.
Ho scoperto che anche io vorrei essere sola.
Io ho dovuto fare l’intenso sforzo di comprendere un’altra anima e lei soffriva e parlava, finché ad un certo punto non mi ha commossa. Mi sono commossa come una bambina, ho pianto mentre lei parlava e mi raccontava che si è innamorata.
Che faceva parte di un’amicizia immensa di quelle che non capisci più chi sei tu e chi è l’altro, di quelle talmente forti da dormire insieme senza fare niente sapendo che lui se le scopa tutte e che quella notte, invece, abbraccia forte te. Cerca il tuo calore, il tuo profumo.
Mi ripeteva “Ceci, io l’ho cambiato, io ho cambiato lui, io mi sono sentita diversa..”
Hanno fatto l’amore. Lui ha fatto l’amore con lei. E me ne parlava confusa, mi ha raccontato che lui è sbiancato, tremava, che lui non avrebbe voluto, che ha iniziato a urlare e bestemmiare dicendo che lei era diversa e lui l’aveva usata come tutte, l’aveva trattata come una qualsiasi, e in lacrime lei mi ha detto “Ceci, gli ho detto che ero innamorata di lui. E lui è scappato.”
E io piangevo perché sentivo il suo dolore, sentivo la sua infelicità intrecciarsi con la mia e quando mi ha detto che non lo sapeva nessuno all’infuori di me io mi sono sentita vuota. Per un secondo. Persa.
Noi non siamo amiche. Lei ha un gruppo di amiche ricche e snob, fa parte di quelle pettegole da salotto eppure è diversa: io sono quella a cui scrivere e con cui riflettere, da sempre.
E ieri mi ha affidato un pezzetto di vita, ma vi giuro che mi tremano le mani a scriverlo perché lei non è come le altre, lei è persa come me.
Lei mi somiglia così tanto, eppure è così sola, così magra da fare impressione, così infelice, così lacerata.. lei è come mi sento io.
Mi ha detto che non lo ha detto a nessuno perché tutti ne avrebbero fatto un pettegolezzo, o comunque un affare di conquista. Lei non vuole riconquistarlo: lei non sa come fare a ritrovare quell’anima che ha perso.
E mi ha detto “Come si fa Ceci a tornare da soli quando si è incontrata la non solitudine?”
Lei vuole ritrovare la non solitudine. Lui ha fatto l’amore con lei fugacemente e lei mi piangeva accanto ed io amavo il suo cervello libero e sofferente, una sofferenza pura.

Mi ha raccontato del divorzio dei suoi e io piangendo le ho urlato che pagherei perché i miei divorziassero, perché mia mamma non mi svuotasse l’armadio ogni giorno per controllarlo, perché non mi fotografasse la notte il diario con gli orari di scuola per controllare quando esco, perché non mi urlasse che sono una pazza, che non mi rendo conto dei loro sacrifici e che mangio tutto quello che c’è in casa, perché non mi nascondesse il cibo, perché non si portasse i biscotti a lavoro per non lasciarli nella credenza.
Pagherei.
Lei vive con il papà che, come il mio, è inesistente, lavora giorno e notte e a volte la lascia sola per settimane. Lei può vivere.
Io sento di non avere il diritto di essere infelice in questa casa.

Con lei mi sono sentita per un secondo un essere umano. Non una conta calorie, non una macchina di cibo.
Un essere umano. Vorrei incontrare qualcuno così, che abbia un dca. Una persona che soffra ogni giorno della sua vita, anche solo per sapere che non sono sola. Che esiste.

Ed intanto mi abbuffo. Perché nessuno ha capito che il mio problema non è il cibo: il cibo è il sintomo di un altro problema. Il male di vivere. Il lacerante, soffocante male di vivere.
Straziante.
Sapete il momento più brutto qual è? Come diceva Kiki in un commento, ho imparato a gestire le mie abbuffate.
Se so che non posso vomitare faccio in modo di fermarmi prima di stare male, per continuare ad abbuffarmi lentamente per tutto il giorno.
Cerco di fermarmi quando non entra più nulla.
Ecco, quella è la sensazione più brutta che si possa provare: non avere più fame. Non avere più la fame fisica, dover aspettare che vada giù tutto, torta, pacco di brioches, pacchi di bueno, tutto. Deve scendere perché non posso vomitare, mia sorella è di là, nell’altra stanza, sentirebbe.
Ed è un tormento mentre aspetto di poter ricominciare a mangiare. Perché in questa eterna pausa io penso, penso, e il dolore ritorna, più forte di prima, più forte, potente. In tutta la sua autenticità. Mi urla “non hai risolto niente.”
Eppure io so che mentre mangio non ci sono. È... alienante. Fortunatamente nessuno può capire. Ma sono in un altro mondo, quello del non-essere.

Non sono mai stata più male di così. E sto così male che non ho idea di cos’altro scrivere. Se non che voglio sparire. Davvero.
Ma domani sarò di nuovo qui. A farmi divorare dalla sofferenza, divorando lei.

mercoledì 8 aprile 2015

Il disperato bisogno di ascolto, del vostro.

Peccato che alla fine io pensi sempre e solo al cibo.
Nuova giornata al supermercato: compro il pane di segale per la merenda a scuola e la mia giornata è impostata su questa linea:

Colazione: te verde.
Spuntino: 50 g pane di segale
Pranzo: minestrone di verdure e legumi + mela
Spuntino: yogurt greco al limone
Cena: spiedini di pollo con insalata + mela.

A me non sembra un giorno di eccessiva restrizione alimentare, è esattamente come mangiavo quando pesavo 47 chili.  Ops.. no, ricordo che a quel peso gli spuntini erano una carota. È anche vero che a cena spesso mangiavo la pasta.
Ma che importa?
Ormai io non ho più quel peso.

Questo, preciso, è il mio diario alimentare di quando non mi abbuffo. Invertite il minestrone con del pesce e qualche carota, e cambiate la cena con qualche verdura cotta (cime di rapa etc) et voilà, niente di difficile.
(ma dovresti essere la metà di ciò che sei, se mangiassi davvero cosi!!!! Già, peccato che io NON mi abbuffi forse tre giorni a settimana, ormai- per chi non sa contare, 3 giorni non mi abbuffo, e 5 mi abbuffo.).

Per chi non ha voglia di sentir parlare di cibo beh, smetta di leggere il post. (vi prego, leggete...) Siccome disgraziatamente il cibo è il centro del mio mondo, siccome io ADORO parlare di cibo, del mio disturbo alimentare, delle mie fisse, delle schifezze, del peso, siccome io non penso ad altro tutto il giorno e siccome ho un disturbo alimentare beh, oggi voglio usare il mio spazio virtuale per SFOGARMI.

Perciò sedetevi comode e, se come me non pensate ad altro (ahimè) per tutta la durata della giornata, godetevi questo post sul CIBO  e sulle mie ABBUFFATE.

(vi prego, leggetelo lo stesso).

Sono una che cerca sempre di arginare il discorso prettamente “cibiatico”, per usare un neologismo; imposto i miei scritti e i post così come è impostato il mio cervello, ovvero una sviolinata di riflessioni inutili e noiose; diciamo che riporto i miei pensieri e cerco di disporre la mia depressione intensa sopra un foglio.
Ma oggi voglio essere mediocre, oggi voglio essere fottutamente BANALE, noiosa, superficiale: oggi ho bisogno di scrivere questo.

Situazione: supermercato.
Giro tra gli scaffali: merendine, porcate, cornetti alla crema, cioccolata bianca, biscottini di tutti i tipi.
Scatta la riflessione: “Cavolo, è cambiata la direzione delle mie abbuffate. Ultimamente mi ingozzavo di toast e scatolette di tonno, sognavo quello. Adesso sogno roba dolce, schifosamente dolce. Però, appena mi abbuffo di quella, parte la voglia di salato! È un bel problema! Di cosa posso abbuffarmi, la prossima volta?”

Situazione: ritorno a casa. Guardo le foto di quando pesavo venti chili in meno e penso “Porca miseria: come ero magra… aspetta, fammi scrivere al computer una mini storia in cui vado a correre tutti i giorni e dimagrisco e divento uno scheletro e tutti si preoccupano!”
E così faccio, inizio a scribacchiare qualcosa, credo di scrivere riguardo a qualche commento, qualche complimento, descrivo un po’ di ossa e poi mi stufo, chiudo il computer e rifletto ancora.
Giornata di riflessioni.
“Sono proprio un filosofo: ho una grande carriera da grande! Aspetta, come si dice filosofo al femminile? Forse filosofa. Ma no. Filosofessa. Ma che.”
Mi stufo in fretta di questi pensieri.
“Dovrei studiare”.
“No, cazzo, dovrei proprio studiare: ho solo la prossima settimana tre verifiche e non ho aperto libro. Ora faccio qualcosa.”
Continuo a stare seduta.
“Vorrei tornare magra. Quando finisco la maturità vado a correre tutti i giorni tre ore, faccio la cyclette le altre due ore, poi mangio un po’ di verdura e ricomincio: giri in bici, corse, starò in tuta tutto il giorno e in dieci giorni sarò uno stecchino.”

Ma sono un fottutissimo genio!
E non è finita qui! Questo programma, oltre a mettermi di ottimo umore, ha suscitato una riflessione ancora più profonda: io mi comporto come a scuola. Io non lo voglio il 7. Io non studio, prendo 5 e poi la prossima verifica mi spacco il culo e prendo 9.
Ecco la media del 7 pieno! Ho 7 lo stesso, direte voi; sì, ma sapete come me la sono spassata il giorno prima della verifica in cui ho preso 5, girando per torino a fare un cazzo???
Così mi comporto con il cibo: mi sfondo ora, poi corro per tre settimane come solo io so fare e perdo qualche chilo. Chissà che non ci prenderò la mano…

Perfetto.
Allora ho deciso che dopo la maturità dimagrirò perché andrò tutti i giorni a correre. Oh yeah! Appurato ciò, viene a crearsi un insormontabile problema. “Cosa cazzo faccio da qui alla maturità?”

DILEMMA.

1. Mi abbuffo, mi piango addosso, ho i capelli che fanno schifo, la faccia gonfia, sono sempre stanca e fiacca, però mi godo alla grande quintali di cibo che poi non mangerò più;

2. Mangio normalmente (?! Sarebbe? Che mangio un cornetto anziché 15 e accetto di perdere mezzo chilo al mese anziché cinque in una settimana? Nah)

3. Provo e riprovo a fare l’anoressica restringendo pian piano sempre di più, partendo dal D.A. qui sopra che seguo sempre e arrivando al quasi totale digiuno (se, vabbè, senza abbuffarmi? nah)

4. Provo a mangiare seguendo il D.A. postato qui sopra, ogni tanto mi abbuffo quando proprio non ce la faccio, e ogni volta mi abbatto perché non mi abbuffavo da un po’ e ho rovinato tutto

DILEMMA.
Forse solo un cancro sarebbe meno importante!
Ora, devo proprio decidere.
Mmm, penso e ripenso e non prendo minimamente in considerazione l’idea che potrei smetterla di pensare al cibo, che potrei fare altro, che potrei vivere serena lo studio e stare con il mio ragazzo.

Ooh, sarebbe bello. Ma io penso al cibo 24 ore su 24. SEMPRE. Pensatemi stupida, noiosa, ma sinceramente io non ho idea di che cosa cazzo facciano gli altri tutto questo tempo.
Ebbene, torniamo alle cose importanti.
Qui bisogna decidere del mio futuro, all’istante. Eh si, ragazze, perché si tratta di decidere cosa fare domani mattina.
Portarmi a scuola l’altro pezzetto di pane di segale o comprarmi un bombolone alla crema e poi sfondarmi tutto il giorno?

È una tragedia, una tragedia! Valuto bene tutte le opzioni: quando a luglio inizierò a dimagrire e mi ucciderò di sport ovviamente non toccherò più tutte queste porcate. Quindi, a brucia pelo, vi direi che seguirei la prima opzione: mi ingozzo ora tipo quegli animali che vanno in letargo, e poi a luglio dimagrirò e tutti noteranno la differenza; ma, riflettendoci, ciò è molto stupido perché sarò più grassa, farò più fatica e forse non perderò nemmeno peso, magari mollerò dopo due giorni.

Poi passerei alla quarta opzione.

Se solo …

…  non avessi già voglia di porcate.
Se non mi vedessi un bisonte allo specchio e se non pensassi “tanto ormai sono grassa”.
Avevo letto un pensiero di Softy questa estate che non capivo, quando l’ho letto, e che non avrei pensato di fare. Lei diceva che un tempo se mangiava un biscotto pensava: “se finisco il pacco ingrasso. Ma se non lo faccio, mica dimagrisco!”.

E non c’è frase che possa esprimere meglio come io mi senta adesso.

Se domani non mi abbuffo, se io non vado a comprare un pacco di cornetti alla crema, se non mi ingozzo di cioccolata bianca, biscotti ripieni, torte al limone, io non dimagrisco. Non tornerò a pesare 47 chili. Anche perché tanto sarebbe solo un rimandare la mia abbuffata reprimendo il desiderio di abbuffarmi.
Ma se io mi abbuffo al massimo metto su un altro chilo, e sarebbero 21, anziché 20 in più, e nessuno se ne accorgerebbe.

Ho scritto un post simpatico per cercare di riderci su, ma non c’è nulla da ridere.

Io non so nemmeno più perché mi abbuffo: una volta vi assicuro che mi abbuffavo perché reprimevo le emozioni, le soffocavo nel cibo. Ancora adesso ogni tanto mi abbuffo perché vanno all’aria i miei programmi, perché penso che non posso dormire con il mio ragazzo, perché penso che mancano 10 anni a che potremo vivere da soli, perché penso che devo studiare e mi angoscio.
Poi a volte mi abbuffo perché sono grassa.
Ma altre volte mi abbuffo perché io DECIDO di abbuffarmi. Non perché voglio la torta al limone, altrimenti la chiederei a mia mamma e ne mangerei una fetta (diciamo che se riesco a pranzare con un minestrone, riesco a mangiare una fettina di torta); ma perché io voglio ABBUFFARMI di torta al limone. Voglio mangiarne due, tre, quattro. Voglio stare male da quanta ne ho mangiata.
E non mangio nemmeno per fame. Per prima cosa il mio d.a. non è da fame, e poi ho mangiato anche più di così. Mi sono abbuffata dopo un pranzo normale con pasta, carne, frutta. Mi sono abbuffata dopo la colazione. Mi sono abbuffata dopo un’abbuffata.

La cosa più triste è che non si può ridurre ad una FAME. Se avessi fame io mangerei di più (tanto non ingrasserei, visto quanto mi sfondo con un’abbuffata, anzi). Se avessi fame io non avrei iniziato ad abbuffarmi esattamente quando la dottoressa mi ha dato la dieta “ingrassante”, come la chiamo io, con pasta, proteine, verdura e frutta tutti i pasti. Ho mangiato come il D.A. che ho postato per due anni, e pesavo 47 chili, forse mangiavo qualcosa in più nei pasti, ma allora era diverso; eppure non mi sono mai abbuffata.

La cosa peggiore, forse, è che non mi abbuffo nemmeno per stare fisicamente male. Certo, mi sento un po' una merda (e tra poco nemmeno più quello) ma non sto poi così male. A volte vomito, e ricomincio ad abbuffarmi.
Mi piace quasi, ed è spaventoso. Prima stavo da cani, non mi alzavo dal letto. Ora rotolo fino al cesso, vomito anche non tutto, giusto quel po’ per far entrare ancora cibo, e poi ricomincio.

Io non capisco perché mi abbuffo. Forse sto davvero male, ma io non lo so? Forse ho davvero RIMOSSO il motivo per cui mi abbuffo? Forse mi abbuffo perché i miei non dormono più insieme, perché mia mamma è sola, mio padre non esiste, e lei mi svuota l’armadio tutti i giorni per controllarlo? Forse mi abbuffo perché con il mio ragazzo ho il coprifuoco alle undici e mezza il sabato sera? O forse queste sono tutte stronzate, STRONZATE? O forse mi abbuffo perché, semplicemente, io sono una maiala ingorda?

Ho una disperata paura, ma che dico, ho il TERRORE che sia proprio così. Che la sentenza sia: MAIALA INGORDA.
E che io mi nasconda dietro una malattia. E che faccia perdere tempo a voi e a me stessa cercando di identificare un dolore da estirpare per rimediare a tutto questo schifo, che in fondo non esiste.
Ho il terrore che tutto questo non mi faccia poi così schifo.
E allora mi chiedo: se volessi sinceramente quei cornetti alla crema e quella torta, e quella cioccolata, perché mai sarei qui ad urlarvi aiuto?
Davvero ve lo chiedo perché voglio essere magra ma mangiando la torta ingrasso?
È davvero così semplice?

Io temo che lo sia.
Scusate.