Ho il cuore che pesa quintali, il cervello completamente invaso dalla rabbia.
Sono arrabbiata, sono arrabbiata con mia madre. Perché mi ha messa al mondo, perché sbaglia e non dovrebbe farlo, perché non mi ama, perché mi ha cresciuta male. La odio perché sono sgarbata, scortese, urlo a mia nonna, non mangio piu un cazzo, piango, sono maleducata, scazzata, arrogante. Presuntuosa. La odio perché lei ama tutti, ama i miei cugini, ama gli altri bambini e le brillano gli occhi, ma non ama me. La odio perché io sono al mondo con tutti i suoi difetti e tutto lo schifo che mi si appiccica vivendo con lei. E la odio quando dice "guardate come è educata vostra cugina. Come sei brava, Ida, le mie figlie non fanno questo e quello, rispondono sempre male". Ed è vero. Io e mia sorella siamo acide, cattive, trattiamo tutti a cazzo, male, ci chiudiamo spesso in camera finché mamma non viene a prenderci a schiaffi.
Ed io la odio. La odio perché parlo con mia sorella e pensiamo le stesse cose: abbiamo ricordi di quando da bambine mamma ci picchiava sempre, esageratamente, per ogni cosa. Ci picchiava, e ho rimosso molte cose. Ma le sue convinzioni, le stronzate che dice, il suo bruciare i costumi nel camino quando ingrassiamo... Quello mi resta infilzato nel petto come una spada avvelenata e affilata...
E sono arrabbiata per come mi ha educata, perché non mi vuole mai ascoltare, perché l'unica volta in cui mi ha detto qualcosa riguardo il mio disturbo alimentare è stata: "perché ti vergogni a dire che vuoi dimagrire?" ed io avrei voluto gridarle che lei non aveva idea di cosa fosse la vergogna, quella vera, che ti fa venire voglia di sparire sotto una valanga di parole inopportune, di commenti ingiusti, di osservazioni fuori posto, per te, e fuori luogo. Per tutto il resto delle volte il suo preoccuparsi per me e per mia sorella si riduceva a ceffoni e labbra che sanguinano per non aver ringraziato, per non aver salutato, per non aver chiamato nonna almeno due volte al giorno... E il suo montarci la testa di quanto la sua educazione fosse migliore di quella di tanti altri genitori permissivi che erroneamente usavano il dialogo e non le mani con i figli era una melodia che stava da sottofondo a tutti i nostri litigi, le nostre parole sospese perché NON SI DEVE PARLARE, i nostri silenzi.
Mamma fa bene, ed io ne sono sempre stata convinta; mamma lo fa per me, perché lei non è come gli altri genitori che parlano, perché lei usa le mani, perché io ne ho bisogno, perché come dice sempre lei io voglio schiaffi anche se non lo so, tutti i bambini li vogliono.
Credevo non fosse importante, ma mi tremano le mani ogni volta che arrivano a casa altri bambini, e mi ripeto che devo svegliarmi, devo crescere, che sono sottigliezze, che ogni genitore è imperfetto e non ci si può deresponsabilizzare per affibbiargli tutte le colpe delle nostre mancanze, che è infantile e stupido, ma mi tremano le mani perché mamma li prende per mano e li porta a passeggiare, li abbraccia, gli fa i regali e in quei pochi attimi io non riesco lucidamente a realizzare che lo fa per gentilezza e perché non essendo figli suoi non può fare altrimenti: io penso irrazionalmente che lo fa perché non sono figli suoi, e quindi li ama.
E la ragione non mi assiste, la ragione è strana, e i miei pensieri credono di adagiarsi sul giusto, di funzionare come marchingegni eccellenti della mia macchina imperfetta: il corpo che tanto odio.
Viva la libertà di pensiero! E intanto mi si strappa il cuore a desiderare un amore che non mi spetta, non più, e che è tardi per pretendere.
Ascolto lei che mi rimprovera nel letto, prima di dormire, mentre soffoco il pianto nel cuscino, sussurrandomi dolcemente che ha capito il mio gioco, che trattando male mia nonna faccio stare male lei e tutti quelli che ci circondano, mentre io cerco di spiegarle che evidentemente io e mia sorella siamo state educate diversamente da tutti i nostri cugini che salutano, non rispondono con ironia spicciola, non urlano; e quando lei mi spiega che ci ha insegnato il rispetto ma che noi non lo usiamo io vorrei tanto rivelarle senza piangere che è proprio questo il problema, perché l'amore costretto non può essere amore né può diventarlo proprio perché privo della libertà che è propria dell'amore.
Costringerci a trattare bene nonna anche quando lei ci toglie il cibo dal piatto dicendo "guarda come vi siete fatte chiatte" perché "poverina è anziana certe cose non le capisce" non può che generare un disprezzo tale da distruggere ogni barriera tra la sincerità e la maleducazione, che prima o poi ha bisogno di uscire.
E intanto lei non ci ama, se ne va senza salutare perché per lei amare è essere disposti a fare per i figli qualsiasi cosa, a morire per loro ma io credo fermamente che l'amore sia tutt'altro che un gesto eroico e decisivo, perché banalmente l'amore si compone di gesti che valgono molto più qualsiasi sacrificio di vita la cui occasione tanto non si presenterà mai. In mente scorrono le immagini di quando gli altri bambini hanno sempre ragione, perché mamma non ci difendeva mai, dovevamo pentirci, chiedere scusa indipendentemente dal fatto, noi dovevamo prendere quei maledetti schiaffi che io ho sempre odiato perché mi minacciavano sempre, e gli altri bambini erano sempre difesi, vantati, coccolati.
Per lei le coccole erano vizi e lo sono ancora, e lei due figlie viziate non le voleva.
Mi dico che ho diciotto anni, che ho un ragazzo che mi ama, che devo smetterla di colpevolizzare mia mamma e assumermi le mie responsabilità, e mi ripeto che ora posso fare a meno di quell'amore. Spesso me ne convinco, ma altrettanto spesso non ci riesco e vorrei tanto convivere con questo vuoto che mamma ha creato, non lasciato.
Mamma, guardami, sono qui! Ma ormai sono grande e tu non devi guardarmi se non con gli occhi di chi pretende un futuro meraviglioso per me, anche se tu, mamma, lo fai da quando sono nata.
Non ti importa di amarmi adesso e tu non cambi, me lo hai detto, anche se fai di tutto per cambiare me.
Perché mia mamma non ascolta nessuno, tratta male mio padre, lo fa aspettare ore ed ore quando gli da un orario e lui sbuffa, bestemmia, si chiede perché l'ha sposata, quei litigi normali tra mamma e papà, ma che da me si ripetono giornalmente da quando sono nata.
Perché mia mamma non va incontro a nessuno, lo dice sempre, e non lo faccio nemmeno io, nella mia vita.
Quello che ci distingue è il senso di colpa, che lei non ha. L'autocritica, che forse io possiedo per tutte e due. Il bisogno di migliorarsi in continuazione, anche questo parte esageratamente significativa della mia personalità.
Stupida vacca che sono! Incolpo gli altri e mi lavo le mani dicendo che sono così per colpa di mamma.
Perché non mi ama? Io lo sento nel cuore che è così, e non voglio crederci, del resto lei non mi coccola, non mi difende, mi dice che dovrei comprare una cyclette e dimagrire perché non voglio capire che sono grossa, ma si butterebbe da un palazzo per me, lei lo dice sempre.
Lei non cambia ed io non so capacitarmene, e basterebbe farlo per mettermi il cuore in pace ed essere felice con un ragazzo che ha tutto l'amore di cui chiedo, e non vede l'ora che io lo accetti.
Ma ho dentro, nella parte più profonda dell'anima, quella convinzione che qui abbiamo inspiegabilmente tutte, ovvero di non meritare amore. E lo rifiutiamo, lo trasformiamo in un mezzo per farci del male, lo calpestiamo per sostituirlo con l'odio che ci fa vomitare, abbuffare, restringere, guardare con profonda ammirazione un corpo che scompare, un corpo martoriato, un corpo stanco.
E lo guardiamo con una perversa gioia, una gioia pura quel corpo disintegrato dalle botte, dai tagli, dalla pancia gonfia, dai capillari rotti.
Personalmente penso "è questo che merito".
E non vedo l'ora di crescere per assumermi le mie responsabilità e lasciare in pace la mia povera madre, a cui ho augurato la morte più atroce ogni giorno della mia vita, da quando ho quindici anni. Me ne vergogno, cerco di reprimere quell'odio, ma io non riesco a non desiderare che lei muoia. Così non ci sarà speranza di ricevere quell'amore, perché la speranza tiene in vita il dolore lacerante della certezza che la speranza è vana. Ma spero. Prima o poi mamma mi amerà come non ha fatto da piccola, prima o poi smetterà di picchiarmi, prima o poi parleremo. Prima o poi accetterà di correggere i propri errori ed io potrò fare lo stesso con i miei. Prima o poi amerà anche papà e papà amerà lei e non la tratterà più male. Non sbufferà più e non le dirà "maledetto il giorno in cui ti ho incontrata" e lei non uscirà di casa piangendo, ed io, quando non succederà, non avrò cinque anni. Non lo ricorderò, non dovrò pensare che amare è questo. Non mi resterà così inspiegabilmente impresso quell'istante, e nemmeno tutti gli istanti in cui mamma non era con me perché aveva sempre tanto da fare.
Perché mamma era irraggiungibile, mamma era quella che picchiava perché lei non era come gli altri genitori, e mamma non poteva abbassarsi a coccole o amore incondizionato, quello che a volte fa perdere ai genitori la rigidità. Per lei la cosa più importante era che chiedessimo scusa. E poi era tutto a posto, gli schiaffi cessavano, e lei si allontanava con un sorriso e andava a fare "altro". Mai si sedeva con noi per guardare un film, accarezzarci, parlarci... Parlare era per i genitori deboli, diceva lei, per quelli che si abbassavano ai livelli dei figli e perdevano il loro rispetto. Con mamma non si parla, mamma si rispetta, mamma si teme. Mamma non è l'accoglienza, l'istinto materno. Mamma è spigolosa, mamma è rigida, mamma è inflessibile.
Ed io voglio un corpo spigoloso, rigido, che non lasci intravedere nessuna forma di accoglienza.
Perché merito le ore sulla cyclette. Studio. Libri, libri. Altre realtà. Abbuffate. Merda.
Sono Sybil.
“Il vero sciocco, colui che gli dei deridono e distruggono, è quello che non conosce se stesso. Io lo fui per troppo tempo. Tu anche lo fosti per troppo tempo. Non esserlo più. Non aver timore. Il vizio supremo è la superficialità. Tutto ciò che è vissuto fino in fondo è giusto.” De Profundis, Oscar Wilde. Sono una lettrice, amo la filosofia e la letteratura, ma odio il mio corpo. 1.60x57 kg. Sono prigioniera: di me stessa, del cibo, delle mie ossessioni. Malata di una malattia che non esiste.